Antropologia del dolore
Mentre scrivo questo articolo il mondo attorno a noi è preda a una pandemia che sta cambiando radicalmente le nostre abitudini e la nostra quotidianità. Tutto appare ribaltato, frantumato e inevitabilmente compromesso; la malattia e la sofferenza ci sembrano vicine e ovviamente ci spaventano.
È interessante però notare come il rapporto della umanità con il dolore, e in particolare la morte, sia cambiato con il trascorrere dei secoli, tanto da poter identificare plurime umanità.
La disciplina che si dedica allo studio di questo fenomeno è l’antropologia culturale,
un vasto puzzle composto da molte tessere identificabili in fonti dirette o indirette del passato.
Per capire infatti quale fosse il modo di pensare di una civiltà del passato è necessario analizzare
gli scritti, le arti, i monumenti, ma anche le sepolture dei propri morti, e in questo campo
l’archeologia funeraria ne è la bussola.
Ogni sistema sociale elabora un rituale funebre proprio, in cui la pratica funeraria funge da sistema di comunicazione che trasmette informazioni sul defunto alla comunità dei vivi. O meglio, il trattamento del deceduto serve a enfatizzare i diversi ruoli sociali che la persona aveva avuto in vita.
Una vera e propria antropologia della morte.
Più il sistema sociale era complesso e più i ruoli aumentavano. Quindi la variabilità funeraria riflette il livello di complessità organizzativa del sistema sociale. La conseguenza di tutto ciò è la formulazione di quella che viene definita ‘antropologia della morte’, ovvero l’analisi del rapporto che ogni società ha con il trapasso dei propri membri.
Una interessante analisi dell’evoluzione degli atteggiamenti è quella formulata dallo storico Philippe Ariès (1914-1984) che identifica 5 momenti storici corrispondenti a 5 visioni differenti della morte.
Morte nell’evoluzione culturale umana
1. “La morte domestica”. Tipica dell’antichità classica ed alto medioevo, in cui la vita media
era molto bassa, per cui l’atteggiamento nei confronti della morte era di rassegnata accettazione. La morte era un evento domestico, familiare, naturale ed inevitabile.
2. “Morte di sé”. Nel basso medioevo si diffonde la concezione di tragico destino personale,
ovvero la morte come evento fisico e di sofferenza.
3. “Morte lontana e imminente”. È la concezione della morte distaccata dalla vita quotidiana,
ma sempre imminente, che si sviluppa prevalentemente alla fine del XVI secolo.
4. “Morte dell’altro”. Nella seconda metà del XVIII secolo fino al XIX secolo nasce il fascino
“romantico” del letto di morte. Il decesso è sentito all’interno dei legami affettivi familiari e romantici.
5. “Morte capovolta”. E’ il rapporto che ha la nostra società con la morte, che appare come un
fenomeno alieno al mondo dei vivi. E’ quasi un tabù, da nascondere anche al morente. La
morte viene “ghettizzata” negli ospedali.
Chiaramente questa evoluzione viene condizionata da molteplici fattori, tra cui soprattutto la
religione. Nell’antichità, quando la morte era ‘domestica’, il moribondo aveva coscienza della
propria condizione e le persone a lui care si abbandonavano al cordoglio con manifestazione
catartiche di dolore.
Vi erano quindi dei riti di passaggio necessari per placare l’anima del defunto che vagava inquieta, al termine dei quali i superstiti tornavano presto ad una vita normale. Il “viaggio” ed il “vagare” dell’anima viene sostituito poi con il Purgatorio nel XII – XIII secolo.
Successivamente, con la Riforma, la Chiesa Cattolica abolisce il concetto di “durata” relativo alla morte e la concezione dei riti di passaggio, per cui impone dei riti immediatamente consecutivi all’evento. Nel XVIII secolo quindi il funerale perde la sua valenza di rito di passaggio e diventa momento unico. Da qui si giunge ai giorni nostri, con la morte che diventa aliena al mondo del vivi che quindi non può più essere vista, citata o pensata.
Avere uno spirito critico sulla vita è importante.
E imparare a comprendere la morte nell’evoluzione culturale umana è fondamentale.
Letture consigliate:
– Ariès P. Essais sur l’histoire de la mort en Occident: Du Moyen Age à nos jours. Rizzoli, 1978.
– Ariès P. L’uomo e la morte dal medioevo ad oggi. Laterza 1980.
– Assmann J. La morte come tema culturale, Einaudi 2002.
– Favole A. Resti di umanità. Vita sociale del corpo dopo la morte, Laterza 2003.
– Grmek MD. La malattia all’alba della Civiltà occidentale, Ed. Il Mulino 2013 (ristampa).
– Hutington R, Metcalf P. Celebrazioni della morte. Antropologia dei rituali funerari, Il Mulino
1985. (Celebration of Death. The Anthropology of Mortuary Ritual, Cambridge 1979).
– Tartari M. (a cura di) La terra e il fuoco. I riti funebri tra conservazione e distruzione. Roma
1996.
– Van Gennep A. Les rites de passage, Parigi 1909; (trad. it. I riti di passaggio, Bollati
Boringhieri 1981).
Desidero ringraziare il mio maestro, Prof. Gino Fornaciari (Università di Pisa) per le preziose
lezioni di ‘archeologia funeraria’.
Dott. Raffaele Gaeta
Divisione di Paleopatologia, Università di Pisa