Ogni anno, con l’arrivo di giugno, il Pride torna a colorare le strade d’Italia e del mondo. E ogni anno, puntuali come un orologio guasto, si levano voci che lo definiscono “inutile”, “esagerato”, “una carnevalata”, “una forzatura”. In Italia, queste reazioni sono particolarmente diffuse, alimentate da una cultura ancora largamente impregnata di patriarcato, omolesbobitransfobia interiorizzata e ignoranza.
Sì, ignoranza. Perché chi liquida il Pride come un eccesso folkloristico non conosce la sua storia, la sua funzione e il suo significato. E spesso non si rende conto del privilegio che si cela dietro a quella derisione: quello di non aver mai dovuto lottare per esistere.
Il Pride non è un party: è memoria, è lotta, è cura
Il Pride nasce da una rivolta. Era il 28 giugno 1969 quando, allo Stonewall Inn di New York, una comunità stanca di soprusi, violenze e discriminazioni disse basta. Non fu una manifestazione autorizzata né pacifica: fu una ribellione guidata da persone trans, nere, emarginate. Marsha P. Johnson, Sylvia Rivera. Donne trans e queer dimenticate dalla storia “ufficiale” e oggi simboli di un coraggio che andava ben oltre la visibilità.
Quel giorno, nacque il Pride. Da allora, il Pride non ha mai smesso di essere uno spazio politico. Non è un carnevale, è un atto di resistenza. È un atto d’amore per sé e per la propria comunità. È uno spazio in cui si celebra ciò che, in tanti contesti, viene ancora vissuto con vergogna o nascosto per paura.
Perché è ancora necessario?
Molti si chiedono: “Ma oggi, con tutte le libertà che avete, serve ancora il Pride?”
Serve, eccome. Serve in un Paese dove l’educazione affettiva e sessuale è ancora considerata un tabù. Dove una persona queer può perdere la casa, la famiglia, il lavoro. Dove l’identità di genere è ancora oggetto di barzellette, e dove chi cammina mano nella mano con la persona che ama rischia un’aggressione.
Serve perché la visibilità non è un capriccio: è sopravvivenza.
Serve per tutte quelle figlie e quei figli che non sanno dare un nome al loro sentire e che si convincono di essere sbagliati. Serve per genitrici e genitori che vogliono capire, che desiderano essere presenza e non ostacolo. Serve nelle scuole, dove troppe insegnanti e insegnanti non hanno gli strumenti per riconoscere il bullismo omofobico e per agire come persone adulte di riferimento. Serve per chi è ancora in silenzio.
Il Pride educa, ricorda e protegge
Chi lavora a stretto contatto con l’infanzia e l’adolescenza sa bene quanto fondamentale sia il diritto all’espressione autentica di sé. Il Pride è una pedagogia vivente. Un linguaggio che dice: “Puoi essere chi sei, puoi amare chi ami. E non sei solə.”
Le parole, i corpi, i colori del Pride parlano anche a chi è ancora nel buio. E più sono visibili, più possibilità esistono di far germogliare comprensione e consapevolezza.
Il Pride è anche un antidoto al silenzio. Quel silenzio che tanti di noi hanno vissuto dentro le mura di casa, a scuola, nelle chiese. Quel silenzio che dice: “Non si nomina, quindi non esiste”. E invece esiste. E ha bisogno di spazi per manifestarsi.
“Ma perché tutta questa esibizione?”
È una domanda ricorrente. Ma nessuno si chiede perché ci sia tutta questa “esibizione” nelle pubblicità di San Valentino o nei film romantici etero-normati. Nessuno si scandalizza per gli abiti da sposa vaporosi o per i baci eterosessuali in pubblico. La verità è che ciò che ci disturba non è l’esibizione in sé, ma ciò che mette in crisi il nostro sistema di pensiero.
La libertà altrui fa paura solo a chi non l’ha mai davvero praticata.
E poi: il Pride è molte cose. È corteo, è spettacolo, è politica. Ma soprattutto è spazio sicuro. Quella che per alcunə appare come esagerazione, per altrə è il primo giorno in cui si sentono a casa.
Un messaggio chiaro anche per le famiglie
Quando una madre o un padre guarda il Pride con sospetto, dovrebbe chiedersi: “Cosa voglio per mia figlia o mio figlio? Che viva nel terrore di essere sé stessa o sé stesso, o che possa esprimersi pienamente, sentirsi amata/o, e avere diritti?”
Il Pride non chiede a nessunə di cambiare identità, ma solo di aprire gli occhi. Di educarsi, di farsi domande, di riconoscere la dignità e la ricchezza della differenza. È un invito al dialogo, alla responsabilità, alla cura.
Chi è vicino a bambinə e ragazzə ha il dovere morale e culturale di offrire un linguaggio aggiornato, rispettoso, e una visione plurale del mondo. Non si tratta di “indottrinare”. Si tratta di costruire un lessico emotivo capace di accogliere.
Il Pride è anche tuo, che lo capisca o no
Se vivi in una società dove il tuo orientamento o identità non è oggetto di discriminazione, è anche grazie a chi ha marciato prima di te. Il Pride è memoria collettiva e conquista civile. E ogni conquista, se non difesa, può essere erosa.
Dire che il Pride è una carnevalata significa sputare sul dolore e sulla forza di intere generazioni che hanno camminato, lottato, pianto, amato per arrivare fin qui.
Non capisci il Pride? Prova ad ascoltare. Forse scoprirai – inaspettatamente – che parla anche di te.