come gestire enuresi notturna nelle bambine e nei bambini?

Cos’è l’enuresi notturna? Perché è importante conoscerla?

Cos’è l’enuresi notturna? Come gestire l’enuresi notturna nelle bambine e nei bambini?

Partiamo dal significato del termine enūréō, parola che deriva dal greco e significa “urinare in”. L’enuresi notturna è lo svuotamento involontario della vescica durante il sonno: la “pipì a letto”.

 

 

come gestire enurei bambini

 

Secondo una indagine condotta dalla Società italiana di Pediatria, l’enuresi è una condizione molto frequente che interessa circa il 12-15% delle bambine e dei bambini intorno ai 5 anni, il 5% intorno ai 10 anni e circa l’1% delle ragazze e dei ragazzi dopo i 14 anni.

Le cause possono essere diverse e possono coesistere:

  • genetiche: nel 75% dei casi almeno un familiare ha sofferto di enuresi.
  • psicologiche: ambiente familiare conflittuale, lutto, malattia, abusi, separazione dei/lle genitori/trici.
  • fisiologiche: disfunzioni ormonali, sovrapproduzione di urina, iperattività del detrusore vescicale.

Fino ai 5 anni non vi è motivo di preoccuparsi. Il controllo degli sfinteri inizia intorno ai 18 mesi e termina tra i 3/5 anni. Quando gli episodi di enuresi notturna si presentano dopo i 5 anni, invece, è bene non sottovalutarli e informare il/la proprio/a pediatra per monitorarli.

Pur essendo una condizione frequente, nelle famiglie esistono ancora molte difficoltà sul tipo di approccio da seguire per tutta una serie di ragioni che coinvolgono le stesse genitrici e gli stessi genitori: possono, ad esempio, sentirsi troppo responsabili del problema o non sentirsi affatto responsabili del problema.

Ma come si sente un bambino o una bambina in questa condizione?

Vergogna, difficoltà nel dormire fuori casa, sonno disturbato, problemi scolastici, sono alcuni degli aspetti più frequenti per chi soffre di enuresi.

Senza contare lo stress che possono causare le terapie farmacologiche e comportamentali a cui, se necessario e su indicazione del medico curante, vengono sottoposti/e.

Chi vive questo tipo di condizione con le proprie figlie e i propri figli sa che possono essere prescritti farmaci come l’imipramina (antidepressivo) o la desmopressina (ormone antidiuretico). Inoltre possono essere stabilite alcune regole comportamentali come le sveglie notturne o la riduzione di assunzione di liquidi dopo le ore 18.

Tutto questo, seppure in funzione del superamento di un problema, sottopone a uno stress psicologico e fisico (la tossicità dei farmaci è un fattore da tenere sempre presente).

Libri per l’infanzia che favoriscono la comunicazione in famiglia, un modo di gestire l’enuresi notturna

Per sdoganare questo tabù, nel libro “Leo” si parla di enuresi e di come, talvolta, “la pipì a letto”, possa essere il sintomo – e non la malattia – di qualcosa di più profondo a livello emotivo.

Ma a prescindere da quali possano essere le cause che solo uno/una specialista della salute può stabilire – è importante sapere che si tratta di una condizione da non sottovalutare perché mina quotidianamente l’autostima e la fiducia delle nostre bambine e dei nostri bambini. Avere un approccio sereno e – assolutamente – non punitivo può essere sicuramente d’aiuto. Una volta accertate le cause del disturbo – qualunque esse siano – valutare, in ogni caso, la possibilità di ricevere un supporto psicoterapico può essere di fondamentale importanza per imparare a gestire le emozioni coinvolte.

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Cosa significa essere assertivi? Perché è importante per le bambine e i bambini?

Cosa significa essere assertivi? Perché è importante per le bambine e i bambini?

Perché è importante comunicare in modo assertivo con bambine e bambini?

L’assertività è la capacità di esprimere i propri sentimenti, le proprie opinioni, le proprie idee in modo sereno e chiaro.

 

 

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Aiutare i bambini e le bambine ad avere un comportamento assertivo – e quindi a riconoscere le proprie emozioni, le proprie idee e imparare ad esprimere tutto questo – è un grande dono che possiamo fare loro perché è un modo funzionale per permettergli di acquisire sicurezza. Avere un progetto educativo emozionale povero, invece, porterà i piccoli e le piccole ad adottare – con molta probabilità –  comportamenti aggressivi o passivi, dunque a voler imporre i propri bisogni e le proprie necessità oppure a non rispettare per niente se stessi/e.
Questa è una modalità che in età adulta può peggiorare se non si è in grado di modificarla attraverso un lavoro consapevole.

E allora come valorizzare una sana assertività nei bambini e nelle bambine?

  • 1. Ascoltando quello che provano, ascoltando la loro opinione su ciò che li circonda, senza giudizio. È importante che possano avere la libertà di esprimersi senza paura di essere giudicati/e.
  • 2. Aiutandoli/e a riconoscere quello che sentono per poter gestire, attraverso la pratica e in modo sempre più autonomo, l’emozione che si presenta, in modo tale da non averne timore.
  • 3. Ponendo loro delle domande funzionali affinché possano esprimersi pienamente.

Facciamo un esempio: un bambino litiga con un suo compagno di giochi. Per noi è una sciocchezza ma lui sta sperimentando, forse per la prima volta, cosa significhi essere arrabbiato, frustrato o spaventato.

Se interveniamo in modo tale da sminuire l’accaduto – dicendo ad esempio “dai, non è successo nulla. Smettila di piangere!” – non lo aiuteremo nè a gestire le emozioni con cui si sta misurando né a tirare fuori le risorse per una situazione che potrebbe presentarsi in futuro. Anche se le nostre intenzioni sono quelle di ristabilire l’armonia nel più breve tempo possibile, con molta probabilità, la sua rabbia si riverserà anche verso di noi e le urla si sentiranno per un bel po’. Oppure sentirà di non essere abbastanza importante, perché non stiamo considerando quello che sente e, in un futuro, è possibile che non manifesterà ciò che prova.

Perché è importante comunicare in modo assertivo con bambine e bambini?

Capire che per lui quella lite è importante, come  l’emozione che sta vivendo, è un compito molto delicato che spetta alle persone adulte. Solo così quel bambino riuscirà a tirar fuori le risorse necessarie per potersela cavare da solo in futuro, in modo assertivo appunto.

Una buona comunicazione è essenziale per lo sviluppo emotivo dei bambini e delle bambine, soprattutto nei momenti in cui le emozioni sembrano prendere il sopravvento. È, inoltre, una competenza complessa che comprende diverse attitudini (ad esempio l’empatia) che un genitore o una genitrice devono poter sviluppare per creare un ambiente favorevole.

L’assertività non solo è alla base di una buona autostima – nostra e dei/lle nostri/e bambini/e – ma è anche una delle chiavi per avere relazioni sane ed equilibrate.

connessione empatica

Empatia nei bambini. Un’abilità importante da coltivare.

Empatia. Parola che deriva dal greco empatheia: “sentire dentro”.

È la capacità di comprendere i sentimenti altrui. È l’abilità relazionale di entrare in sintonia con l’altra/o.

connessione empatica empatia nei bambiniI bambini e le bambine – sin dai primissimi mesi di vita – provano sentimenti di gioia e sofferenza empatica prima di percepirsi come entità separata dalle altre.

Succede che reagiscano al turbamento altrui come se fosse il proprio, ad esempio piangendo alla vista delle lacrime di un altro bambino, di un’altra bambina o dei propri familiari.

Questa è una capacità meravigliosa perché regola le radici delle relazioni ed è una capacità in grado di trasformarsi, se decidiamo di svilupparla, oppure no.

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È compito degli adulti aiutare i bambini e le bambine a sviluppare questo dono.

Come? Innanzitutto attraverso l’esempio. Nulla è più utile dell’esperienza diretta.La misura in cui noi stessi e noi stesse sapremo mostrare nei fatti cosa significhi ascoltare le persone, tenere conto dei punti di vista altrui e averne cura, sarà il dono prezioso che lasceremo loro per poter formare connessioni a livello profondo che orientino verso i sentimenti delle vite con cui tutti e tutte siamo interconnesse.

In che modo si formano nuove connessioni empatiche?

Quando l’attenzione si concentra su qualcosa, una serie di neuroni si attiva. E quando i neuroni si attivano insieme, creano connessioni fra loro. Allenare la mente verso un atteggiamento empatico favorisce – anche a livello biologico – un cambiamento nelle connessioni cerebrali.

Ma quali sono tutte le sfumature dell’empatia?

1.Punto di vista:la capacità di vedere la realtà con gli occhi di un’altra persona
2.Risonanza emotiva: capacità di sentire le emozioni di un’altra persona
3.Aspetto cognitivo: capacità di comprenedere a livello intellettivo il vissuto di un’altra persona.
4.Compassione: capacità di sentire la sofferenza dell’altro e nutrire il desiderio di alleviarla
5.Gioia empatica: capacità di gioire della felicità, dei successi e del benessere di un’altra persona

Attenzione alla compassione empatica!

Nutrire il desiderio di alleviare la sofferenza altrui è un sentimento molto bello se non rischia di sostituirsi al sentimento o alla volontà dell’altra persona.
È necessario sempre tenere a mente che esiste un equilibrio tra collegamento con l’altro/a e differenziazione dall’altro/a.
Quando viene a mancare la differenziazione – cioè si cerca di sostituirsi all’altra persona – l’empatia può sopraffarci e portarci all’esaurimento delle nostre energie, fondamentali per vivere in modo sano.

In un mondo che ci spinge all’individualismo e alla competizione già in età scolastica com’è possibile coltivare l’empatia?

È sicuramente molto difficile ma proprio per questo motivo è un lavoro indispensabile. Essendo una capacità modificabile sia in positivo sia in negativo, eliminare l’allenamento empatico porta – a lungo andare- ad atrofizzare le connessioni cerebrali utili alla cooperazione e alla collaborazione mentre l’allenamento in questi termini porta notevoli benefici: rispetto per gli esseri viventi, relazioni profonde e significative, scelte più predisposte all’altruismo.

#VIDEO sull’empatia: tristezza gioia ascolto

Le immagini come strumento per l'educazione emotiva

Le immagini come strumento per l’educazione emotiva

Oggi parleremo di emozioni attraverso le immagini. Lo faremo con Daniela Sbrana – pittrice, illustratrice e grafica – presentando il libro “Leo”, testo per cui ha lavorato intensamente.

 

Cara Daniela, com’è possibile rappresentare un’emozione attraverso una illustrazione? Qual è stata la tua esperienza in questo libro?

“Leo” è un libro che parla di emozioni. L’emozione è chiaramente la protagonista. E l’emozione è qualcosa che si sente. Io ho uno stile evocativo, non descrittivo. Amo disegnare i volti, dunque ho cercato di immaginare le emozioni attraverso le espressioni del volto.

Avendo uno stile evocativo, sono riuscita ad adattare i miei disegni all’evoluzione del testo che, come avviene nella maggior parte dei casi, dalla prima stesura ha subìto diverse modifiche prima di raggiungere la forma definitiva.

Infatti, inizialmente la protagonista del libro era una bambina.

Ma viviamo in una cultura che assegna i ruoli di genere in modo marcato, come abbiamo detto nella chiacchierata con la Dott.ssa Cioni.

Ci dicono che esistono i giochi, i colori, i desideri, le parole, i vestiti, le emozioni per i maschi e per le femmine. Ovviamente non siamo d’accordo.

La scelta del sesso biologico maschile infatti è stata fatta per capovolgere questa costruzione sociale. Proprio per dare la possibilità al protagonista maschile di esprimere le sue emozioni.

Daniela, qual è il tuo stile?

Il mio è uno stile tradizionale, dunque per questo tema mi sono trovata molto bene.

Ad esempio, nella prima tavola di “Leo” non si vedono gli occhi. E per me gli occhi sono fondamentali. Scegliere di non disegnarli ha un significato importante.

Nel testo il protagonista sta sorridendo ma non sappiamo se è un sorriso spontaneo o meno. Ho scelto di non farli vedere per non far capire quale sia l’emozione.

Ci sono delle bambine e dei bambini che, attraverso le tue illustrazioni, sono riuscite a cogliere il tipo di emozione. Dunque una educazione emotiva attraverso le immagini è possibile.

Ne sono felice perchè significa che arriva. Le immagini ricalcano la storia ma sono anche una storia a sè. Si potrebbe pensare di riscrivere un’altra storia…

Qual è la tavola in cui ti rispecchi di più?

Probabilmente quella con Leo che se ne va in bicicletta solo soletto rimuginando su mille cose…

Da piccola ero così – e lo sono ancora in realtà – trascorrevo molto tempo da sola e pensavo tanto, anche troppo! E poi la tavola affianca il capitolo del libro che inizia con: “La domenica è il giorno della settimana che mi piace di meno…”. Sono d’accordo. La domenica non mi è mai piaciuta, è un giorno malinconico…

Raccontaci qualcosa sulla modalità di creazione di una immagine

Non ho una vera e propria tecnica. Utilizzo media tradizionali come matite, tempera, acrilico, a volte i colori ad olio e questo conferisce alle illustrazioni un sapore diverso, più caldo. In questo caso si adatta bene alla rappresentazione delle emozioni.

A questo punto, voglio ringraziarti Chiara, per aver curato nei minimi particolari ogni aspetto del libro perchè non è scontato per un’editrice o un editore. Il formato, la grammatura della carta, il colore, la font, sono tutti aspetti fondamentali soprattutto in un albo illustrato.

La scelta accurata della carta ha permesso di valorizzare al meglio le mie illustrazioni, obiettivo non semplice da raggiungere! Sono davvero felice di come sia venuto questo lavoro.

Ed io ti ringrazio per la fiducia che mi hai dato.

Come sai, ma lo diciamo anche a chi ci legge, ho scelto un formato orizzontale – più utilizzato all’estero che in Italia – per una lettura accompagnata, per invitare al dialogo e alla riflessione. La grammatura e il colore della carta per mettere in risalto le illustrazioni. La  font ad alta leggibilità per aiutare chi ha difficoltà nella lettura (DSA).

Sono molto soddisfatta anche io del risultato che abbiamo avuto.

Ultima domanda: questo libro parla di emozioni e quindi di cura e amore. Cos’è per te la cura?

La cura parte da una presa di coscienza, da una consapevolezza. È essere in empatia con qualcuno ed essere presente non solo fisicamente ma anche psicologicamente.

È un percorso da fare insieme.

 

 

 

 

 

Educazione emotiva. Presentazione del libro "Leo"

Educazione emotiva. Presentazione del libro “Leo”

Mi trovo di fronte (via Skype) alla Dott.ssa Cioni – psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale – per parlare dell’importanza dell’educazione emotiva e per dialogare su un tema, come quello della malattia, che suscita ancora molti dubbi su come debba essere affrontato quando in una famiglia ci sono dei bambini o delle bambine.

Lo faremo presentando “Leo”, il libro per cui ha collaborato intensamente.

Leo libro educazione emotiva

 

“Leo” nasce, come gran parte dell’idea editoriale di Chiara Editrice, con l’esigenza di proporre tematiche come la malattia, il lutto, la separazione dei genitori, l’orientamento, l’identità sessuale, la diversità linguistica, culturale e molto altro. Tutti temi che fanno parte della nostra realtà ma, forse, non ancora di quella che usiamo chiamare la nostra “normalità”.

Ma cos’è la normalità se non qualcosa che siamo abituate/i a vedere, qualcosa che siamo riuscite/i a far entrare dentro di noi e con cui, bene o male, conviviamo.

Dott.ssa Cioni, qual è il rischio psicologico di creare o alimentare un tabù?

Alimentare i tabù significa alimentare i pregiudizi, la diffidenza e questo i bambini lo imparano in famiglia. Pensiamo all’infanzia e all’importanza dell’educazione dei genitori verso “l’altro”, “il diverso”, “lo straniero” in generale. Negli ultimi anni i genitori si lamentano degli atti di bullismo. Ma la maggior parte dei fattori va ricercata proprio in casa.

Dovremmo rivedere il sistema dei valori della famiglia e quando parlo di famiglia non intendo solo quella tradizionale ma ciò che essa rappresenta. Dunque non solo uomo-donna ma tutte le figure di attaccamento e di accudimento dei bambini e delle bambine.

In generale, ignorare qualcosa impedisce di conoscerla mentre crescono gli stereotipi che creano distanza e diffidenza. Il risultato non può che essere la paura.

Ma andiamo al libro.

Leo è un bambino come tanti. Figlio più piccolo di una una famiglia – in questo caso – composta da madre, padre, sorella e fratello. Tra lui e il resto del nucleo familiare esiste una notevole distanza di età.

Il libro si apre con uno spaccato di vita familiare in cui viene introdotta, sin da subito, la formalità dei personaggi nonostante la delicatezza del momento che vivono: la malattia della mamma.

Dott.ssa,  come reagiscono di solito le famiglie in una situazione di malattia di un familiare?

Di solito le figure di attaccamento cercano di predisporre una rete di protezione nei confronti dei minori e questo è istintivo, naturale. Fa parte un po’ del concetto di sopravvivenza ed è umanamente comprensibile.

In realtà quello che noi professionisti del settore cerchiamo di spiegare ai genitori è di accompagnare i bambini e le bambine nella sperimentazione della gamma di emozioni che vanno dalla gioia al dolore.

È necessario che sperimentino tutto, che non siano protetti da ciò che è brutto e doloroso perchè l’incontro con il dolore prima o poi avverrà. Per questo è meglio affrontarlo insieme nelle varie tappe evolutive, ricordandoci che le emozioni sono presenti in noi sin dai primi mesi di vita e fanno parte del nostro corredo genetico. È qualcosa di cui non possiamo fare a meno e a cui non possiamo sfuggire.

Se non c’è esposizione al dolore non si sviluppano quegli “anticorpi” necessari per affrontarlo in età adulta.

Nel nostro caso, il piccolo Leo non ci sta a questo evitamento della realtà.

Il suo spirito speculativo mette a dura prova i suoi familiari che, in tutti i modi, cercano di evitare o soffocare il dolore che, indubbiamente, loro stessi provano.

Leo vuole risposte dagli adulti e, a modo suo, si fa sentire: con le domande, con la rabbia, con i mal di pancia, con l’enuresi notturna: quell’atto involontario di bagnare il letto durante la notte (altro tabù da sdoganare che probabilmente merita un capitolo a parte insieme all’importanza di ascoltare i sintomi, propri e altrui).

Leo: una guida emotiva familiare, fa un po’ l’adulto della situazione.

Una delle tappe fondamentali del ciclo vitale del bambino è la conquista della regolazione emotiva che si impara con le figure di attaccamento in modo da vivere le emozioni in maniera adattiva. Questo accade se i genitori si occupano e si preoccupano di dare al loro figlio quella che viene definita educazione emotiva.

Cosa significa educazione emotiva?

È l’abilità di processare informazioni di natura emozionale. Ciò implica la percezione, la comprensione e la gestione delle emozioni.

Nello sviluppo dell’intelligenza emotiva lavoriamo sulla percezione e identificazione delle emozioni, sulla capacità di mettere in relazione cognizione ed emozione, sulla comprensione della natura e gestione efficace delle emozioni.

Un adulto con una buona competenza emotiva è una persona in grado di riconoscere il ruolo che le emozioni hanno giocato nel suo percorso di sviluppo e nella sua storia relazionale. Di conseguenza è una persona in grado di gestire, regolare le proprie emozioni e di riconoscere quelle altrui, favorendo le relazioni positive per la propria crescita.

Nel nostro paese, l’educazione emotiva, sembra essere ancora culturalmente molto lontana, mentre altrove esistono programmi specifici molto utili per sviluppare determinate competenze.

In alcune famiglie accade mentre in altre c’è ancora poca attenzione. Ma quando accade qualcosa di inaspettato, la rete di protezione che viene creata si rivela inconsistente perchè si cerca di controllare qualcosa che non è controllabile. È come mettere i chiodi a una porta di legno quando arriva un uragano. A lungo andare può essere dannoso.

Nel libro si parla di un argomento serio che, in molti casi, dicevamo, spaventa perchè esistono diversi dubbi su come affrontarlo. Però se ne parla anche in modo ironico e alcuni passaggi  possono suscitare ilarità o curiosità, come la figura del cardinale…

Questo personaggio, insieme a qualche altro dettaglio, ha una funzione ben precisa: quella di identificare il piccolo protagonista in un ceto sociale abbiente e ben istruito per sottolineare che non esiste alcuna correlazione tra analfabetismo emotivo e livello di istruzione.

Assolutamente. Non è detto che in una famiglia di operai l’educazione emotiva non sussista e in una famiglia di professionisti questa avvenga.

È la qualità dei rapporti che fa di un genitore una figura accudente e non il peso economico che sostiene.

Certo, fa rabbia pensare che chi ha le possibilità o gli strumenti non approfondisca un aspetto che riguarda una responsabilità personale oltre che relazionale.

Noi sistemico relazionali siamo abituati a ragionare non rispetto ai genitori ma rispetto ai nonni: infatti parliamo di trigenerazionalità. Quando un bambino viene in terapia, dobbiamo osservare come funziona l’intero sistema.

Passiamo all’ultimo argomento.

Viviamo in una cultura che assegna i ruoli di genere in modo marcato. Esistono i lavori, i giochi, gli sport, i colori, i desideri, gli amori, le aspettative, le parole, i vestiti, le leggi, gli stipendi e le emozioni per il maschio…e per la femmina.

La scelta del sesso biologico maschile è stata fatta proprio per dare la possibilità ai bambini di potersi identificare in comportamenti che la nostra cultura ha assegnato alle bambine, come per esempio la dimensione del pianto.

Quante volte sentiamo pronunciare “non piangere, sei un maschietto” ,”non piangere sei forte”, “non piangere, ormai sei grande”?

Come se il pianto avesse un sesso, un’età o delle qualità precise per poter essere espresso.

Il pianto ha una sua funzione fondamentale, profonda, eppure viene spesso stroncato aumentando un senso di inadeguatezza e frustrazione.

Correlare il pianto alla fragilità piuttosto che alla forza è un errore da cui sarebbe l’ora di liberarci.

Uno dei compiti evolutivi degli adulti è quello di dare legittimità alle emozioni.

Minimizzarle non aiuta di certo a scioglierle.

Se l’intento dell’adulto è quello di “far smettere di piangere”, sarebbe più sensato accogliere l’emozione affinchè non si trasformi in altro, ad esempio, in rabbia.

Cosa potremmo dire a un/a bambino/a che piange?

Cosa ti fa piangere? Come ti fa sentire questa cosa? E ascoltare, senza giudizio.

Ma per far questo bisognerebbe preparare prima gli adulti…

“Leo” è un libro trasversale, una guida emotiva familiare.

È un libro che ha l’intento di supportare prima di tutto gli adulti ad affrontare le proprie paure.

A prescindere da quello che la vita ci riserva, sviluppare una capacità nel riconoscere e accogliere le emozioni che sentiamo non solo ci permette di diventare adulti consapevoli, con una vita soddisfacente, ma anche di lasciare questo prezioso e indispensabile bagaglio alle vite future.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Maturità biologica ed emotiva

Nel senso comune si associa la maturità di un individuo alla sua età biologica.

Ciò significa, ragionevolmente parlando, che una persona adulta è potenzialmente più matura e in grado di fare scelte migliori rispetto a una persona giovane.

Tipi di maturità

E allora come mai alcune persone biologicamente mature, che hanno condizioni di benessere fisico, un lavoro potenzialmente soddisfacente e una stabilità economica, le sentiamo  affaticate, frustrate e stanche?

Quello che spesso ignoriamo è l’esistenza di un altro tipo di maturità – quella emotiva che è fuori dalle dinamiche puramente biologiche e sociali, per nulla in relazione col tempo e col denaro. Anzi, nelle dinamiche coinvolte dalla maturità emotiva, il tempo gioca un ruolo negativo perché più trascorre in assenza di una educazione in questi termini e più il senso di fatica è difficile da sostenere. 

Dunque esiste un equilibrio interno al quale non si dà ancora la giusta dignità, un po’ per retaggio culturale e un po’ per paura.

Ma è proprio quel mondo interno e, soggettivo, che se imparato a conoscere, permette di sentirci in equilibrio.

“L’universo delle emozioni”

Imparare a scoprire cosa sentiamo e riuscire ad accogliere le emozioni che viviamo, può dispiegare nuove e stimolanti possibilità alle nostre intelligenze, può aiutarci a costruire una salda autostima, a coltivare l’empatia e la gratitudine, a conoscere noi stessi nei nostri punti di forza e, soprattutto, ad accettare i nostri limiti.

Può aprire la possibilità di fare scelte in armonia con ciò che siamo e circondarci di persone che contribuiscono al nostro benessere e alla nostra crescita.

Raggiungere una maturità emotiva permette di avere sempre un buon livello di equilibrio interno, a prescindere dalle condizioni esterne che, invece, sono fuori dal nostro controllo e che a volte possono avere anche degli scenari drammatici: una malattia, una perdita, un trauma in generale.

La nostra è una società che ancora non prevede dei piani sistematici per questo tipo di educazione (come avviene, invece, in molti altri Paesi).

Sentire l’esigenza di affrontare questo aspetto fa parte di un lavoro personale che riguarda l’amore e la responsabilità che abbiamo verso noi stesse, noi stessi e le persone attorno a noi.