Riflessioni

Cos’è lo schwa? Un suono che apre una questione (non solo) linguistica

Negli ultimi anni si è fatto largo nel dibattito pubblico un simbolo che sta rivoluzionando il modo in cui parliamo e scriviamo: ə. Si chiama schwa (pronunciato “shwa”) e rappresenta un suono, ma anche un segnale forte. Non solo linguistico, ma anche politico, culturale e sociale. Ma cos’è lo schwa? Un simbolo che mette in discussione il modo in cui la lingua italiana, come molte altre lingue, si è strutturata intorno a un’idea androcentrica del mondo.

Cos’è lo schwa dal punto di vista linguistico

Lo schwa è un suono vocalico centrale, medio e atono. È il suono più comune tra tutte le lingue del mondo e ha un ruolo fondamentale nella fonetica. Compare, ad esempio, in inglese nella parola about (əˈbaʊt), nel primo suono. Si scrive con il simbolo [ə] e fa parte dell’alfabeto fonetico internazionale (IPA), utilizzato per trascrivere tutti i suoni delle lingue del mondo.

In italiano, lo schwa non è un suono nativo e non appartiene alla nostra ortografia ufficiale. Tuttavia, il suo impiego recente in alcuni contesti, soprattutto scritti, rappresenta una trasformazione interessante: l’introduzione dello schwa modifica in parte la morfologia della lingua italiana, offrendo una nuova possibilità di desinenza non marcata dal genere. Parole come “tuttə”, “carə”, “studentə” diventano forme alternative a quelle tradizionali, dove il maschile sovrastante viene messo in discussione.

Sarà l’uso a determinarne il futuro

Come accade per ogni innovazione linguistica, non sarà una regola imposta dall’alto a decidere se lo schwa entrerà ufficialmente nella lingua italiana. Sarà l’uso, come sempre, a determinare il destino di questo fonema. Se sempre più persone inizieranno a utilizzarlo nella comunicazione quotidiana, se diventerà parte del linguaggio scolastico, giornalistico, istituzionale, allora potrà trovare una sua legittimità anche nella grammatica.

La lingua è un organismo vivo, che cambia con la società. E la società sta mostrando sempre più sensibilità verso le questioni legate al genere e all’identità.

I vantaggi dell’uso dello schwa

L’introduzione dello schwa offre molti spunti di riflessione. Tra i principali vantaggi:

Apre possibilità: consente di parlare a tuttə senza escludere o invisibilizzare nessunə.
Sensibilizzazione: rende evidenti le convenzioni di genere presenti nella lingua e le mette in discussione.
Educazione al rispetto: insegna, anche a chi è giovane, che non tutte le persone si riconoscono nel binarismo maschile/femminile.
Per genitrici e genitori, adottare uno sguardo più aperto e inclusivo nel linguaggio che usano può essere un piccolo ma significativo atto educativo.

I limiti e le critiche allo schwa

Non mancano però i punti critici. Prima di tutto, lo schwa non è pronunciabile in italiano. L’assenza di un equivalente fonetico nel nostro sistema linguistico lo rende difficile da usare nel parlato. Questo crea una frattura tra lingua scritta e lingua orale.

Altri limiti includono:

Accessibilità: lettori vocali e strumenti assistivi faticano a interpretare correttamente il simbolo ə, con il rischio di escludere chi ha disabilità visive.
Non ufficialità: lo schwa non è riconosciuto dalle grammatiche e dai dizionari istituzionali.
Diffidenza sociale: molte persone percepiscono lo schwa come una forzatura ideologica o un’inutile complicazione.
Tuttavia, questi ostacoli non fanno che mettere in evidenza l’urgenza di un cambiamento e l’importanza di un confronto aperto.

Una questione di linguaggio e potere

Il dibattito sullo schwa è in realtà un dibattito sul potere. Il maschile universale – il fatto che un gruppo misto venga chiamato “i bambini”, “i cittadini”, “gli insegnanti” – riflette una visione del mondo in cui il maschile è norma e tutto il resto è eccezione.

Un’osservazione provocatoria ma interessante:

perché non usare allora il femminile universale? In fondo, le parole sono convenzioni. Se possiamo dire “tutti”, potremmo anche dire “tutte”, includendo anche le persone maschili e non binarie. Questo tipo di inversione fa emergere chiaramente quanto siano radicate le nostre abitudini e quanto ci appaia strano ciò che non è centrato sull’uomo.

Per molte persone LGBTQIA+, nominarsi nel linguaggio non è un vezzo: è una questione di visibilità, riconoscimento, dignità. E per chi cresce oggi – bambinə, ragazzə, adolescentə – poter vedere e sentire parole che li includano può significare molto.

E allora, che fare?

Non esiste una risposta univoca, né una grammatica perfetta. Ma esiste il desiderio – umano e legittimo – di essere chiamatə per ciò che si è. Per genitrici e genitori, può essere utile iniziare a familiarizzare con questi strumenti e, magari, usarli con curiosità e apertura. Per rispetto.

Lo schwa non è una soluzione definitiva. Ma è un seme. Un modo per dirci che la lingua può cambiare. E cambiare, quando serve ad aprire possibilità, non è mai una minaccia.