Riflessioni

La solitudine e i voti a scuola: le piaghe invisibili dell’istruzione italiana

Nel silenzio rumoroso delle aule scolastiche italiane, troppe bambine e troppi bambini vivono una solitudine che passa inosservata. Non si tratta solo della mancanza di amicizie, del sentirsi escluse o esclusi , ma di una forma più sottile e profonda: l’invisibilità emotiva. La scuola italiana, ancora saldamente ancorata a un sistema di valutazione arcaico e impersonale, con i suoi voti e le sue valutazioni, continua a ignorare il cuore pulsante della crescita: la conoscenza autentica, l’empatia, il benessere emotivo e la capacità relazionale delle alunne e degli alunni.

Il voto: un sistema antiquato

Il voto scolastico, spesso ridotto a numero o lettera, è ancora il parametro principe attraverso cui si misura il valore di una persona in età evolutiva. Un metro rigido, standardizzato, incapace di cogliere le sfumature, le storie personali, i vissuti traumatici o semplicemente i tempi differenti con cui ogni bambina e ogni bambino apprende. In un mondo interconnesso, complesso, mutevole, è semplicemente anacronistico pensare che l’intelligenza e la capacità di affrontare la vita possano essere riassunte in un 6 o un 10 scritto su un registro elettronico.

Questo approccio riduzionista non tiene conto del fatto che molte studentesse e molti studenti affrontano difficoltà personali, contesti familiari complessi, neurodivergenze non diagnosticate, traumi invisibili. Eppure, vengono valutate e valutati allo stesso modo, secondo parametri che non lasciano spazio all’unicità.

Una riflessione psicologica e sociale

Psicologicamente, vivere in un sistema scolastico che ignora il proprio mondo interiore genera una frattura. Le bambine e i bambini imparano presto che per essere riconosciute e riconosciuti devono eccellere in base a regole decise da persone adulte che spesso non li conoscono davvero. Questo meccanismo favorisce la nascita di ansia da prestazione, senso di inadeguatezza e, nei casi più gravi, sintomi psicosomatici, ritiro sociale e disturbi depressivi.

Socialmente, la scuola diventa un luogo dove si premiano conformismo e performance, non crescita, curiosità o collaborazione. Le capacità altruistiche, la sensibilità verso i propri pari, la voglia di esplorare o la capacità di mettersi nei panni delle altre persone non hanno spazio. Eppure, sono queste le competenze fondamentali per vivere e costruire relazioni in un mondo in cui la connessione umana è la vera risorsa.

L’empatia come strumento educativo

In molte scuole d’avanguardia a livello internazionale, si stanno abbandonando i sistemi basati unicamente sul voto in favore di una valutazione più umana, formativa e partecipativa. Si considerano le emozioni, i processi, i progressi, la capacità di cooperare e di prendersi cura delle e degli altri. Questo tipo di scuola non è solo più giusta, ma anche più efficace. Le bambine e i bambini che si sentono ascoltati, supportati o valorizzati saranno più motivati, più propensi a mettersi in gioco, a sviluppare una resilienza autentica.

Eppure, in Italia siamo ancora lontani. Molte insegnanti e molti insegnanti, pur con la migliore intenzione, sono imprigionati da un sistema burocratico, da programmi infiniti da “finire” e da una cultura della prestazione che li schiaccia. Anche tanti e tanti genitrici e genitori, cresciuti nello stesso modello, faticano a capire che il voto non è l’obiettivo, ma solo (e forse nemmeno) uno strumento.

Un appello alla vecchia generazione

Care genitrici e cari genitori, care insegnanti e cari insegnanti: fermiamoci. Chiediamoci davvero cosa serve oggi a una persona in crescita. Come possiamo farla sentire accolta e vista non solo per quanto “rende” ma per quello che è? Come possiamo insegnarle  a comunicare, ad affrontare le emozioni, a sbagliare senza sentirsi sbagliata o sbagliato? Non sarebbe, forse, più utile far crescere con l’idea che ogni errore è prezioso per imparare ed parte di un percorso invece di insinuare il dubbio che sia una macchia da cancellare con la paura?

Chi oggi ancora difende un modello esclusivamente votocentrico, forse non si rende conto di quanto ciò isoli e soffochi. Forse ha dimenticato quanto si è sentita o sentito solo a scuola, o forse non ha mai avuto il coraggio di guardare quella solitudine in faccia. Ma se vogliamo davvero essere parte del cambiamento, è tempo di rimettere al centro la relazione, l’ascolto, la cura.

Un sistema educativo per il presente (e per il futuro)

In un’epoca in cui le sfide globali – climatiche, sociali, tecnologiche – richiedono empatia, cooperazione e intelligenza emotiva, non possiamo più permetterci di educare solo alla competizione. Il mondo non ha bisogno di bambine e bambini perfetti o performanti. Ha bisogno di persone consapevoli, capaci di sentire, di creare legami, di dare senso a ciò che vivono.

Il benessere psicologico delle studentesse e degli studenti dovrebbe essere al primo posto. Solo così potremo costruire una scuola che non sia luogo di classificazione, ma di fioritura. Una scuola dove nessuna e nessuno si senta invisibile.

L’importanza del riconoscimento

Riconoscere la solitudine a scuola significa riconoscere che l’attuale sistema educativo è carente, obsoleto, inadeguato ai bisogni del presente. È tempo di parlare, di proporre modelli alternativi, di formare le insegnanti e gli insegnanti a una didattica relazionale, di supportare le famiglie in questo cambiamento culturale. È tempo che le bambine e i bambini possano essere valutate e valutati e incoraggiati per quello che sono e non solo per quanto sanno.

Questa riflessione vuole essere un seme. Un invito a costruire insieme, come comunità educativa, una scuola nuova. Una scuola dove nessuna persona debba più portare da sola il peso della propria complessità.