Quando si parla di orientamento sessuale, la bisessualità è ancora oggi una delle sfaccettature più fraintese e banalizzate. È un orientamento autentico, radicato, e non una fase di passaggio, una moda o una forma di indecisione. Eppure, per chi cresce in contesti educativi e familiari dove il binarismo etero/omo è l’unica narrazione possibile, comprendere e accogliere questa realtà può risultare complesso. Non per chi la vive, ma per chi la osserva dall’esterno, proiettando pregiudizi e paure.

Perché si parla di “confusione”?
L’idea che le persone bisessuali siano confuse è figlia di una cultura che fatica ad accettare la complessità. Viviamo in un mondo che ama le categorie nette: maschio o femmina, etero o gay. La bisessualità rompe questo schema e, nel farlo, svela quanto il nostro pensiero sia ancora rigido. Definire “confusa” una persona che prova attrazione per più di un genere non dice nulla di lei, ma racconta molto della società che etichetta ciò che non comprende.
In realtà, l’orientamento sessuale non è una scelta del momento, né un vestito che si cambia. È parte della nostra identità, e quando parliamo di bisessualità parliamo di un orientamento legittimo. Non è un capriccio adolescenziale né una deviazione dalla norma: è una delle molteplici espressioni della sessualità umana.
Il peso dei pregiudizi sulle persone adolescenti
Per chi cresce scoprendo la propria attrazione verso più generi, la strada può essere irta di ostacoli. Non solo perché le famiglie e le scuole spesso non possiedono strumenti adeguati per affrontare il tema, ma perché lo stigma sociale si infiltra ovunque. Frasi come “devi solo decidere” o “stai sperimentando” minano la costruzione di un’identità sana, alimentando vergogna e senso di colpa.
Quando genitrici e genitori ignorano o minimizzano, pensando che “passerà”, non solo invalidano le emozioni di chi hanno davanti, ma contribuiscono a creare isolamento e sofferenza. Il silenzio è una forma di violenza sottile, ma potente. Accogliere significa ascoltare senza giudicare, riconoscere senza pretendere spiegazioni, sostenere senza voler aggiustare nulla.
Il mito dell’iper-sessualità e della “promiscuità”
Uno degli stereotipi più tossici sulla bisessualità è che chi la vive sia automaticamente una persona promiscua, incapace di fedeltà o incline al tradimento. Nulla di più falso. L’orientamento sessuale non determina lo stile relazionale. Esistono persone bisessuali monogame e persone bisessuali poliamorose, così come esistono persone eterosessuali o omosessuali che scelgono modelli diversi di relazione. Attribuire alla bisessualità caratteristiche di “pericolo” o “instabilità” significa alimentare discriminazione e, spesso, giustificare esclusione.
Questo pregiudizio ha radici profonde e conseguenze concrete: ancora oggi molte persone bisessuali subiscono il cosiddetto double discrimination, ossia la discriminazione che arriva sia da ambienti eterosessuali sia da contesti LGBTQIA+. Spesso non vengono percepite come “abbastanza queer” né come “abbastanza etero”, finendo in una terra di nessuno che aumenta il senso di solitudine.
Come parlare di bisessualità a scuola e in famiglia
Il linguaggio è un ponte, non un’arma. Parlare di bisessualità in modo corretto significa fornire strumenti, non ideologie. Non si tratta di “insegnare a essere bisessuali”, come qualche detrattore ama sostenere, ma di riconoscere la realtà e offrire uno spazio sicuro in cui le persone possano nominarsi senza paura.
A scuola, includere nelle lezioni il concetto di orientamento sessuale come spettro aiuta a normalizzare una cultura delle differenze. A casa, smettere di chiedere “ma sei più attratta dalle ragazze o dai ragazzi?” è già un passo avanti: questa domanda parte dal presupposto che ci debba essere una prevalenza, un primato, quando in realtà la bisessualità non è una gara tra generi.
Parole che salvano, parole che feriscono
Mai sottovalutare il potere delle parole. Quando diciamo “è solo una fase”, stiamo negando un’identità. Quando diciamo “è una scelta”, stiamo trasformando in opinione qualcosa che è parte di chi siamo. Allo stesso modo, quando pronunciamo frasi come “ti sostengo”, “non devi spiegarmi nulla”, stiamo costruendo un mondo più vivibile per chi è già costretto a difendersi da stereotipi che non gli appartengono.


