Nel vocabolario delle frasi che fanno male, poche sono affilate quanto “è solo una fase”. Parole che, spesso con superficialità o desiderio di tranquillizzare, si posano come macigni sulle identità in costruzione. È la frase che accoglie troppe giovani persone quando trovano il coraggio – immenso, rivoluzionario – di dichiarare un orientamento sessuale che non corrisponde all’eteronorma. È la risposta che ricevono da chi dovrebbe ascoltare, proteggere, accogliere. Ed è la negazione più sottile e crudele: quella che traveste il rifiuto da buon senso, la paura da prudenza.
Il bisogno di legittimazione: quando l’infanzia chiede spazio per essere
Parlare di orientamento sessuale durante la crescita richiede una conoscenza dei processi identitari. L’identità non arriva tutta insieme, si costruisce, si trasforma, si espande. Ma questo non significa che i sentimenti e le attrazioni vissute da chi cresce siano finzioni passeggere. L’invalidazione dell’esperienza affettiva e sessuale ha un impatto psicologico gravissimo: chi riceve messaggi di dubbio o di rifiuto rispetto al proprio orientamento può interiorizzare vergogna, senso di colpa e paura del rifiuto.
Per una bambina che si innamora di una compagna, per un adolescente che si sente attratto da persone del proprio genere, la risposta adulta che parla di “confusione” o “curiosità momentanea” non è neutra. È una ferita. È un modo per dire: non ti credo. Non sei reale. Aspetto che passi. Come se l’identità queer fosse una febbre da lasciar sfebbrare.
LGBTQIA+: identità reali, non esercizi di stile
Le esperienze delle persone LGBTQIA+ non sono una parentesi né una deviazione dalla norma: sono parte integrante del vivere umano. Sono storie, emozioni, desideri, famiglie, futuro. Ma per troppo tempo sono state raccontate da fuori, da chi osserva e giudica, mai da chi vive. Ecco perché parlare di orientamento sessuale con linguaggio adeguato e preciso è un culturale e affettivo.
L’acronimo LGBTQIA+ è già una dichiarazione di complessità: racchiude lesbiche, gay, bisessuali, persone transgender, queer, intersex e asessuali, con l’aggiunta del “+” che apre a ogni altra esperienza non binaria o non eteronormativa. Ogni lettera è una galassia. Ogni identità, un diritto a esistere e a essere rispettata.
La paura adulta di affrontare la realtà
Spesso le reazioni di negazione arrivano da chi è cresciuto in un mondo incapace di nominare il desiderio se non in chiave eterosessuale. La paura che la figlia “soffra”, il timore che il figlio “venga discriminato”, portano molte famiglie a trasformare la protezione in controllo, il sostegno in correzione.
Le “terapie riparative”, ancora oggi praticate in alcuni contesti religiosi o conservatori, sono un esempio estremo ma purtroppo non isolato di questa dinamica. Ma anche il solo silenzio, il cambio di argomento, la battuta che sminuisce, sono strumenti di pressione che fanno interiorizzare alle giovani persone LGBTQIA+ un’idea tossica di sé: “così come sono, non vado bene”.
Chi insegna, chi educa, chi cresce insieme
In un mondo che ancora insegna a temere la differenza, chi si occupa di educazione ha un compito fondamentale: diventare spazio sicuro. Non servono titoli o manuali per accogliere con rispetto. Serve volontà di ascolto, disponibilità a imparare, capacità di rimettere in discussione i propri schemi.
Un’insegnante che crea un ambiente scolastico in cui tutti i tipi di amore sono nominati e rappresentati contribuisce alla salute mentale delle sue alunne e dei suoi alunni. Un genitore che accoglie senza interpretare protegge la libertà emotiva di chi cresce. E chiunque sia in relazione con chi è in età evolutiva ha la responsabilità – sì, responsabilità – di non trasmettere paura per chi è fuori dagli schemi normativi.
“Quando smetterai di essere così?” – “Quando smetterai tu di non vedermi?”
Ogni volta che diciamo “è solo una fase” a una persona in ricerca, stiamo scegliendo di non vederla. Di non crederle. Di non esserci. E spesso, dietro quel “solo” c’è un mondo di dolore, di tentativi, di relazioni invisibili, di parole non dette per evitare il rifiuto.
Non è una fase. È una verità che merita spazio, parole, legittimazione. È una voce che chiede ascolto e rispetto, non giudizio o attesa. Chi ama in modo diverso da ciò che la società considera normale, non sta facendo una prova generale: sta già vivendo la sua unica e irripetibile esistenza.
Non chiamatela fase. Chiamatela libertà.