La storia dell’umanità è permeata da episodi e dinamiche che, osservate attraverso la lente moderna, suscitano sgomento. Tra questi, l’abuso sui minori rappresenta un capitolo controverso e complesso. Nell’antichità, l’approccio verso l’infanzia variava notevolmente tra le diverse culture, spesso intrecciandosi con norme sociali, tradizioni e credenze che finivano per normalizzare pratiche oggi considerate abusi. Comprendere le radici storiche di queste dinamiche può aiutare genitrici, genitori, insegnanti ed educatrici a cogliere l’importanza di rompere il silenzio sugli abusi ancora presenti nella nostra società.
L’infanzia nelle antiche civiltà
Grecia antica: tra educazione e pederastia
Nella Grecia antica, l’infanzia non era considerata un periodo sacro o protetto. Le bambine e i bambini erano spesso percepiti come individui in formazione, il cui valore dipendeva dal loro futuro ruolo nella società. Un aspetto rilevante e controverso è rappresentato dalla pratica della pederastia. Il termine “pederastia” proviene dal greco antico ed è composto da due elementi: παῖς (país), che significa “bambino” o “ragazzo”, e ἐραστής (erastēs), che significa “amante” o “colui che ama”. Letteralmente, il termine si traduce come “amore per il ragazzo”.
Si trattava di una relazione formalizzata tra un uomo adulto (erastēs) e un giovane ragazzo (eròmenos). Sebbene questa pratica fosse presentata come una forma di educazione e trasmissione di valori, la natura di tali relazioni variava: in alcuni casi poteva includere una dimensione intima, oggi considerata abuso, mentre in altri era principalmente educativa e sociale.
Va sottolineato che la pederastia era culturalmente accettata in molte città-stato greche, come Atene e Sparta, e regolata da norme che ne definivano il contesto sociale.
Roma antica: infanzia come proprietà
Nella società romana, le bambine e i bambini erano spesso considerati una forma di proprietà della famiglia, in particolare del pater familias, che aveva il potere legale di decidere sul destino delle figlie e dei figli, incluso quello di venderli come schiavi. Le schiave e gli schiavi bambini, in particolare, erano estremamente vulnerabili: potevano essere sfruttati fisicamente, psicologicamente e sessualmente senza alcuna tutela legale. Anche tra i minori liberi, la protezione era minima, con la violenza fisica e la disciplina severa viste come strumenti educativi legittimi.
Allo stesso tempo, la società romana fu testimone di un graduale sviluppo di norme giuridiche più protettive, seppure limitate. Giuristi come Ulpiano discussero, ad esempio, la necessità di tutelare le schiave e gli schiavi da abusi estremi, ma tali regolamentazioni erano spesso ignorate nella pratica.
Radici della tolleranza culturale dell’abuso sui minori e negazione del problema
Come è stato possibile che pratiche oggi considerate abusi fossero non solo tollerate, ma integrate nelle strutture sociali e culturali dell’antichità?
Una delle spiegazioni risiede nella concezione dell’infanzia come fase transitoria e subordinata. Le bambine e i bambini erano spesso privi di autonomia morale e fisica, rendendoli soggetti a decisioni e desideri delle persone adulte senza possibilità di opporsi.
La tolleranza culturale dell’abuso era inoltre radicata in una visione gerarchica della società. L’idea di potere – che fosse quello del pater familias romano o dell’erastès greco – giustificava l’aspetto coercitivo di molte relazioni con i minori. La religione e la mitologia giocavano anch’esse un ruolo significativo: le divinità, con i loro comportamenti spesso moralmente ambigui, fungevano da giustificazione simbolica per azioni discutibili.
Un ulteriore fattore è la mancanza di una consapevolezza collettiva del danno psicologico e fisico che tali pratiche potevano causare. Le conoscenze mediche e psicologiche erano limitate, e il benessere emotivo delle bambine e dei bambini non era una priorità sociale dell’epoca.
Le difficoltà di affrontare il tema oggi
Oggi, nonostante i progressi in ambito legale e sociale, il tema degli abusi sui minori resta spesso tabù. Questo è in parte il retaggio di una lunga storia in cui l’infanzia non è stata adeguatamente valorizzata. La paura di affrontare apertamente il tema può essere ricondotta a radici culturali profonde, che hanno normalizzato il silenzio e la negazione del problema.
Per chi vive a stretto contatto con l’infanzia, come genitrici, genitori, insegnanti ed educatrici, è fondamentale riconoscere queste dinamiche storiche per superarle. Parlare di abusi significa non solo proteggere i minori, ma anche sfidare strutture di potere che perpetuano l’oppressione e la vulnerabilità.
Verso una riflessione collettiva
Esaminare l’abuso sui minori nell’antichità non significa giustificare o relativizzare le pratiche dell’epoca, ma piuttosto comprendere le radici storiche e culturali di fenomeni che ancora oggi rappresentano una sfida globale. Studiare come le antiche civiltà trattavano i minori può offrire spunti preziosi per analizzare le dinamiche di potere, controllo e oppressione che persistono nel tempo.
La consapevolezza storica è il primo passo per costruire una società più giusta, in cui i diritti delle bambine e dei bambini siano universalmente riconosciuti e tutelati. L’antichità ci insegna quanto sia fragile il confine tra tradizione e abuso, e quanto sia cruciale interrogarsi su valori che oggi diamo per scontati.