Cosa significa adultizzazione nelle bambine e nei bambini?
È una domanda che si pongono poche persone ma che merita un posto centrale nel dibattito culturale e sociale sull’infanzia. In un’epoca in cui l’infanzia è spesso piegata alle logiche dell’efficienza, della performance e della resilienza precoce, esiste un fenomeno poco riconosciuto ma profondamente radicato: quello dell’adultizzazione.
Per adultizzazione si intende l’attribuzione precoce a una persona giovane di responsabilità, aspettative, linguaggi, emozioni e ruoli tipicamente di persone adulte. Non si tratta solo di “crescere in fretta”: è l’erosione progressiva dello spazio infantile e adolescenziale, quell’area vitale di gioco, protezione, errore e scoperta che dovrebbe essere sacra e inviolabile.
Quando una figlia o un figlio diventa “troppo grande” troppo presto
Non è necessario vivere contesti di disagio evidente per sperimentare l’adultizzazione. Essa si annida anche nei salotti ordinari, nelle famiglie apparentemente “normali”. Quando una madre o un padre confida costantemente i propri problemi a una figlia, quando si chiede a un figlio di “essere forte” per il bene degli altri componenti della famiglia, quando si insegna – più o meno esplicitamente – che non bisogna “fare i capricci” (spoiler: i capricci non esistono) perché in casa ci sono guai ben più seri, si stanno ponendo sulle spalle di una persona giovane pesi che non le competono.
Non si parla solo di “genitori assenti”, ma anche di chi, per mancanza di strumenti o consapevolezza, finisce per invertire i ruoli: la figlia o il figlio diventa figura di supporto, consigliere, facilitatore emotivo. A volte persino pacificatore tra le persone adulte della casa.
Un fenomeno sociale invisibile
L’adultizzazione è spesso considerata una forma di “maturità precoce” e in una società che celebra la velocità e l’autonomia, viene perfino lodata. “È responsabile”, “è molto maturo/a per la sua età”, “capisce tutto”. Ma dietro questi complimenti si nasconde una trappola pericolosa: si confonde la capacità di adattamento con una scelta libera, l’autosufficienza con il benessere.
In realtà, queste persone giovani stanno spesso soltanto facendo ciò che serve per sopravvivere in un ambiente emotivamente disorganizzato. E lo fanno rinunciando, inconsciamente, a qualcosa di fondamentale: la possibilità di essere curate, sostenute, viste.
Adultizzazione affettiva, emotiva, economica
Esistono diverse forme di adultizzazione. Alcune più visibili, altre profondamente sottili.
Affettiva: quando si diventa confidenti o “partner” emotivi della madre o del padre. La persona giovane assume un ruolo di accudimento affettivo verso la figura genitoriale, spesso in modo non esplicito, ma estremamente invasivo.
Emotiva: si richiede un controllo precoce delle emozioni, l’inibizione della rabbia, del dolore, della paura. Si insegna che “non si piange” o che “non è il momento”.
Economica: nei contesti di marginalità, può succedere che una persona debba lavorare presto o occuparsi di sorelle e fratelli più piccoli. Ma anche in ambienti più agiati, la pressione a “essere produttivi” o a eccellere può assumere la forma di un’adultizzazione mascherata da aspettativa.
La cultura della bambina e del bambino adulto e i suoi danni
Viviamo in un’epoca in cui i corpi giovani sono iper-esposti, le emozioni private spettacolarizzate e le vite accelerate. L’infanzia viene sempre più spesso raccontata come un fastidio da contenere o come una fase da superare in fretta. Lo si nota nei linguaggi scolastici che insistono sulla “responsabilità”, nei reality che mettono al centro minori talentuosi, nei social dove anche le emozioni diventano contenuto da performare.
In questo clima, l’adultizzazione non è solo un’esperienza personale: è una dinamica culturale sistemica. È il riflesso di una società che fatica a tollerare la lentezza, la fragilità, la dipendenza, la noia. Una società che non ha più pazienza per chi ha bisogno di tempo per crescere.
Perché è pericolosa
L’adultizzazione non è solo una questione di “carico emotivo”. È una forma di sottrazione identitaria. Le persone che hanno dovuto diventare grandi troppo presto spesso faticano a riconoscere i propri bisogni, a legittimare le proprie emozioni, a chiedere aiuto. Portano dentro una narrazione silenziosa: quella che devono cavarsela da sole o da soli, che non è lecito vacillare, che non meritano attenzione se non sono utili.
Questi schemi si ripetono nelle relazioni adulte, nel lavoro, nella vita affettiva. L’adultizzazione può lasciare un segno profondo nella costruzione dell’autostima, nella capacità di fidarsi, nel diritto al piacere e al riposo.
Eppure, continua a passare sotto silenzio. Non se ne parla a scuola, raramente se ne discute nei media, quasi mai viene riconosciuta apertamente in famiglia.
Quando si smette di giocare per iniziare a sopravvivere stiamo mettendo la firma all’infelicità.
Questo è uno spazio dove si fa cultura psicologica, ma se ti senti in difficoltà è importante e necessario affidarsi a professioniste e professionisti della salute mentale.