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Educazione emotiva. Presentazione del libro "Leo"

Educazione emotiva. Presentazione del libro “Leo”

Mi trovo di fronte (via Skype) alla Dott.ssa Cioni – psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale – per parlare dell’importanza dell’educazione emotiva e per dialogare su un tema, come quello della malattia, che suscita ancora molti dubbi su come debba essere affrontato quando in una famiglia ci sono dei bambini o delle bambine.

Lo faremo presentando “Leo”, il libro per cui ha collaborato intensamente.

Leo libro educazione emotiva

 

“Leo” nasce, come gran parte dell’idea editoriale di Chiara Editrice, con l’esigenza di proporre tematiche come la malattia, il lutto, la separazione dei genitori, l’orientamento, l’identità sessuale, la diversità linguistica, culturale e molto altro. Tutti temi che fanno parte della nostra realtà ma, forse, non ancora di quella che usiamo chiamare la nostra “normalità”.

Ma cos’è la normalità se non qualcosa che siamo abituate/i a vedere, qualcosa che siamo riuscite/i a far entrare dentro di noi e con cui, bene o male, conviviamo.

Dott.ssa Cioni, qual è il rischio psicologico di creare o alimentare un tabù?

Alimentare i tabù significa alimentare i pregiudizi, la diffidenza e questo i bambini lo imparano in famiglia. Pensiamo all’infanzia e all’importanza dell’educazione dei genitori verso “l’altro”, “il diverso”, “lo straniero” in generale. Negli ultimi anni i genitori si lamentano degli atti di bullismo. Ma la maggior parte dei fattori va ricercata proprio in casa.

Dovremmo rivedere il sistema dei valori della famiglia e quando parlo di famiglia non intendo solo quella tradizionale ma ciò che essa rappresenta. Dunque non solo uomo-donna ma tutte le figure di attaccamento e di accudimento dei bambini e delle bambine.

In generale, ignorare qualcosa impedisce di conoscerla mentre crescono gli stereotipi che creano distanza e diffidenza. Il risultato non può che essere la paura.

Ma andiamo al libro.

Leo è un bambino come tanti. Figlio più piccolo di una una famiglia – in questo caso – composta da madre, padre, sorella e fratello. Tra lui e il resto del nucleo familiare esiste una notevole distanza di età.

Il libro si apre con uno spaccato di vita familiare in cui viene introdotta, sin da subito, la formalità dei personaggi nonostante la delicatezza del momento che vivono: la malattia della mamma.

Dott.ssa,  come reagiscono di solito le famiglie in una situazione di malattia di un familiare?

Di solito le figure di attaccamento cercano di predisporre una rete di protezione nei confronti dei minori e questo è istintivo, naturale. Fa parte un po’ del concetto di sopravvivenza ed è umanamente comprensibile.

In realtà quello che noi professionisti del settore cerchiamo di spiegare ai genitori è di accompagnare i bambini e le bambine nella sperimentazione della gamma di emozioni che vanno dalla gioia al dolore.

È necessario che sperimentino tutto, che non siano protetti da ciò che è brutto e doloroso perchè l’incontro con il dolore prima o poi avverrà. Per questo è meglio affrontarlo insieme nelle varie tappe evolutive, ricordandoci che le emozioni sono presenti in noi sin dai primi mesi di vita e fanno parte del nostro corredo genetico. È qualcosa di cui non possiamo fare a meno e a cui non possiamo sfuggire.

Se non c’è esposizione al dolore non si sviluppano quegli “anticorpi” necessari per affrontarlo in età adulta.

Nel nostro caso, il piccolo Leo non ci sta a questo evitamento della realtà.

Il suo spirito speculativo mette a dura prova i suoi familiari che, in tutti i modi, cercano di evitare o soffocare il dolore che, indubbiamente, loro stessi provano.

Leo vuole risposte dagli adulti e, a modo suo, si fa sentire: con le domande, con la rabbia, con i mal di pancia, con l’enuresi notturna: quell’atto involontario di bagnare il letto durante la notte (altro tabù da sdoganare che probabilmente merita un capitolo a parte insieme all’importanza di ascoltare i sintomi, propri e altrui).

Leo: una guida emotiva familiare, fa un po’ l’adulto della situazione.

Una delle tappe fondamentali del ciclo vitale del bambino è la conquista della regolazione emotiva che si impara con le figure di attaccamento in modo da vivere le emozioni in maniera adattiva. Questo accade se i genitori si occupano e si preoccupano di dare al loro figlio quella che viene definita educazione emotiva.

Cosa significa educazione emotiva?

È l’abilità di processare informazioni di natura emozionale. Ciò implica la percezione, la comprensione e la gestione delle emozioni.

Nello sviluppo dell’intelligenza emotiva lavoriamo sulla percezione e identificazione delle emozioni, sulla capacità di mettere in relazione cognizione ed emozione, sulla comprensione della natura e gestione efficace delle emozioni.

Un adulto con una buona competenza emotiva è una persona in grado di riconoscere il ruolo che le emozioni hanno giocato nel suo percorso di sviluppo e nella sua storia relazionale. Di conseguenza è una persona in grado di gestire, regolare le proprie emozioni e di riconoscere quelle altrui, favorendo le relazioni positive per la propria crescita.

Nel nostro paese, l’educazione emotiva, sembra essere ancora culturalmente molto lontana, mentre altrove esistono programmi specifici molto utili per sviluppare determinate competenze.

In alcune famiglie accade mentre in altre c’è ancora poca attenzione. Ma quando accade qualcosa di inaspettato, la rete di protezione che viene creata si rivela inconsistente perchè si cerca di controllare qualcosa che non è controllabile. È come mettere i chiodi a una porta di legno quando arriva un uragano. A lungo andare può essere dannoso.

Nel libro si parla di un argomento serio che, in molti casi, dicevamo, spaventa perchè esistono diversi dubbi su come affrontarlo. Però se ne parla anche in modo ironico e alcuni passaggi  possono suscitare ilarità o curiosità, come la figura del cardinale…

Questo personaggio, insieme a qualche altro dettaglio, ha una funzione ben precisa: quella di identificare il piccolo protagonista in un ceto sociale abbiente e ben istruito per sottolineare che non esiste alcuna correlazione tra analfabetismo emotivo e livello di istruzione.

Assolutamente. Non è detto che in una famiglia di operai l’educazione emotiva non sussista e in una famiglia di professionisti questa avvenga.

È la qualità dei rapporti che fa di un genitore una figura accudente e non il peso economico che sostiene.

Certo, fa rabbia pensare che chi ha le possibilità o gli strumenti non approfondisca un aspetto che riguarda una responsabilità personale oltre che relazionale.

Noi sistemico relazionali siamo abituati a ragionare non rispetto ai genitori ma rispetto ai nonni: infatti parliamo di trigenerazionalità. Quando un bambino viene in terapia, dobbiamo osservare come funziona l’intero sistema.

Passiamo all’ultimo argomento.

Viviamo in una cultura che assegna i ruoli di genere in modo marcato. Esistono i lavori, i giochi, gli sport, i colori, i desideri, gli amori, le aspettative, le parole, i vestiti, le leggi, gli stipendi e le emozioni per il maschio…e per la femmina.

La scelta del sesso biologico maschile è stata fatta proprio per dare la possibilità ai bambini di potersi identificare in comportamenti che la nostra cultura ha assegnato alle bambine, come per esempio la dimensione del pianto.

Quante volte sentiamo pronunciare “non piangere, sei un maschietto” ,”non piangere sei forte”, “non piangere, ormai sei grande”?

Come se il pianto avesse un sesso, un’età o delle qualità precise per poter essere espresso.

Il pianto ha una sua funzione fondamentale, profonda, eppure viene spesso stroncato aumentando un senso di inadeguatezza e frustrazione.

Correlare il pianto alla fragilità piuttosto che alla forza è un errore da cui sarebbe l’ora di liberarci.

Uno dei compiti evolutivi degli adulti è quello di dare legittimità alle emozioni.

Minimizzarle non aiuta di certo a scioglierle.

Se l’intento dell’adulto è quello di “far smettere di piangere”, sarebbe più sensato accogliere l’emozione affinchè non si trasformi in altro, ad esempio, in rabbia.

Cosa potremmo dire a un/a bambino/a che piange?

Cosa ti fa piangere? Come ti fa sentire questa cosa? E ascoltare, senza giudizio.

Ma per far questo bisognerebbe preparare prima gli adulti…

“Leo” è un libro trasversale, una guida emotiva familiare.

È un libro che ha l’intento di supportare prima di tutto gli adulti ad affrontare le proprie paure.

A prescindere da quello che la vita ci riserva, sviluppare una capacità nel riconoscere e accogliere le emozioni che sentiamo non solo ci permette di diventare adulti consapevoli, con una vita soddisfacente, ma anche di lasciare questo prezioso e indispensabile bagaglio alle vite future.