Educazione affettiva e sessuale LGBTQIA+

Asessuali si nasce o si diventa? Una riflessione oltre i pregiudizi

“Asessuali si nasce o si diventa?”

È una domanda che si affaccia quando si parla di orientamento sessuale. È una di quelle domande che, pur apparentemente neutre, nascondono un’urgenza: quella di comprendere, incasellare, spiegare ciò che sfugge ai modelli dominanti di desiderio e relazione. Ma forse, prima ancora di chiederci “da dove viene”, dovremmo chiederci: “Perché ci dà così fastidio il fatto che esista?”.

L’asessualità è un orientamento sessuale a tutti gli effetti, non una fase, non una mancanza, non una ferita. Non è sinonimo di castità, né di repressione. Le persone asessuali – donne, uomini, persone non binarie – possono amare profondamente, avere relazioni appaganti, desiderare intimità emotiva e affettiva. Semplicemente, non provano attrazione sessuale o la provano in modo diverso rispetto alla norma dominante. E no, non c’è nulla da curare.

L’educazione affettiva e il silenzio che fa rumore

Nel mondo dell’educazione affettiva e sessuale – quando viene fatta – l’asessualità resta ancora un argomento marginale. Non perché sia raro, ma perché è scomodo. È scomodo per una società che misura il benessere anche in base al livello di “prestazione” sessuale. È scomodo per chi cresce in contesti in cui l’identità è valutata in base alla conformità al desiderio eterosessuale e cisnormato.

Eppure, ci sono ragazze e ragazzi che si interrogano, in silenzio, sul perché non “sentano” come le e gli altri. Che si chiedono se siano rotte, sbagliati, se debbano aggiustarsi. L’assenza di narrazioni valide, di modelli positivi, di persone in grado di dare un nome senza giudizio, contribuisce a farle e farli sentire isolati, patologizzati, invisibilizzati.

Parlare di asessualità significa colmare questo vuoto. Non solo per chi si riconosce in questa esperienza, ma anche per chi desidera educare al rispetto delle differenze, all’ascolto delle soggettività, alla libertà di esistere fuori dai copioni scritti da altri individui.

Identità fluide, esperienze plurali

“Asessuali si nasce o si diventa?”. La verità è che ogni esperienza asessuale è unica. Alcune persone raccontano di essersi riconosciute asessuali sin dall’adolescenza, altre arrivano a questa consapevolezza molto più tardi. Alcune attraversano fasi di attrazione sessuale che poi si trasformano, si attenuano, si spengono. Altre la sperimentano solo in condizioni molto specifiche (ad esempio: demisessualità).

Il punto non è tanto il “perché”, quanto il “come”: come vivere pienamente un’identità che si discosta dal paradigma dominante, come proteggerla dalle narrazioni patologizzanti, come renderla visibile senza doverla giustificare. Non dobbiamo cercare l’origine per legittimare: nessun’altra identità viene passata al setaccio con la stessa ossessione di “causa”. Nessuno si chiede “se eterosessuali si nasce o si diventa”. Eppure, è proprio questa la domanda che viene spesso fatta a chi si muove fuori dallo schema.

Il privilegio del desiderio e il diritto a non averne

Viviamo in una cultura ipersessualizzata, dove il desiderio è merce, potere, status. Chi non lo prova – o lo vive in modi non riconosciuti – diventa, automaticamente, un’eccezione da spiegare o da correggere. Il problema, però, non è l’asessualità. Il problema è che non riusciamo ad accettare i differenti modi di vivere il desiderio e, ancor più, la sua assenza.

Educare affettivamente significa anche decostruire questa norma. Significa dire alle e agli adolescenti che non sono in ritardo se non provano attrazione sessuale, che non devono forzarsi, che non è l’atto sessuale a definire il loro valore o il loro essere “giuste” o “giusti”. Che possono vivere una vita piena, intensa, innamorata, anche se non provano quello che la società dice debbano provare.

Significa anche che le persone di riferimento – genitrici, genitori, educatrici e educatori, insegnanti – devono essere disposti a mettere in discussione le proprie certezze. A riconoscere che l’affettività non segue una traiettoria unica e lineare, ma si declina in mille modi. A comprendere che l’identità non è un insieme di etichette statiche, ma un paesaggio in continua trasformazione.

Un’altra “normalità” è possibile

Nel mondo LGBTQIA+, l’asessualità è ancora troppo spesso messa in ombra. Si fatica a riconoscerla come parte della comunità, forse perché priva di quella visibilità che passa attraverso l’attrazione. Ma essere asessuali non significa non amare, non creare legami, non costruire lotte. Anzi. Le persone asessuali spesso portano avanti una militanza silenziosa ma potente: quella della presenza. Del rifiuto di piegarsi alle aspettative, del coraggio di raccontarsi, della dignità di dire “io esisto, anche se non corrispondo a ciò che tu chiami normale”.

Raccontare l’asessualità, inserendola nel discorso sull’educazione affettiva e sessuale, non è un vezzo culturale. È un atto doveroso. Un gesto di cura collettiva. Una breccia nel muro del pregiudizio.