Il concetto di identità oltre il binarismo
Nel nostro quotidiano educativo – che sia tra le mura scolastiche, tra le righe di un libro letto o nello spazio intimo delle relazioni amicali e familiari – ci troviamo sempre più spesso a confrontarci con parole nuove, o che nuove sembrano solo perché per troppo tempo sono state silenziate. Una di queste è “gender fluid”.
Chi lavora, vive o si prende cura delle soggettività in crescita – che siano figlie, figli, alunne, alunni, nipoti, persone adolescenti – sa quanto sia urgente, oggi, dotarsi di un linguaggio e di uno sguardo capaci di accogliere, di nominare e comprendere i differenti tipi di identità senza costringerle in gabbie prestabilite.
Ma cosa significa davvero essere gender fluid? E perché è così importante parlarne, senza tabù né timori?
Gender fluid: una definizione per destrutturare
Il termine “gender fluid” indica un’identità di genere non fissa, che può cambiare nel tempo, nello spazio, nelle relazioni. Una persona gender fluid può sentirsi più vicina al genere femminile in un certo momento, più affine al genere maschile in un altro, o può non riconoscersi affatto nel binarismo tradizionale donna/uomo. È un’identità che sfugge alle definizioni rigide e che mette in discussione l’idea che esista una sola modalità “giusta” di essere se stessə.
Ecco perché la parola chiave, qui, è fluidità. Non confusione, come spesso si tende erroneamente a pensare. Ma libertà di movimento. Libertà di espressione. Libertà di essere.
Oltre la biologia: una questione di autodeterminazione
Siamo cresciute e cresciuti in una cultura che ci ha insegnato che il sesso biologico determina tutto: il nostro genere, i nostri comportamenti, persino i nostri desideri. Ma è davvero così? I più recenti studi di psicologia, sociologia e neuroscienze mostrano una realtà ben più complessa. L’identità di genere – cioè la percezione profonda e soggettiva di sé – non coincide necessariamente con il sesso assegnato alla nascita.
Nel caso delle persone gender fluid, questa identità si esprime in modo dinamico e non lineare. Non è né un capriccio né una moda passeggera, come certi titoli di giornale (o certe cene di famiglia) vorrebbero far credere. È un modo autentico di stare nel mondo, e come tale merita rispetto, ascolto e tutela.
Se non lo capisco, allora non esiste?
C’è un atteggiamento diffuso – e pericoloso – che si manifesta ogni volta che qualcosa di nuovo o diverso sfida le categorie interiorizzate da una vita. È la reazione del “secondo me non è così”. Come se l’esperienza e la percezione personale potessero bastare a smentire esistenze, corpi, storie. Un modo apparentemente innocuo di rispondere a ciò che si ignora, che in realtà è profondamente violento.
Accade spesso che, di fronte a parole come “gender fluid”, alcune persone – soprattutto quelle cresciute in epoche in cui il genere era una dicotomia scolpita nel marmo – preferiscano minimizzare, ironizzare, svuotare di significato. Come se l’incomprensione fosse una scusa sufficiente per delegittimare. E invece no: non capire non dà diritto a negare.
Quel “secondo me”, così ricorrente, rivela molto più di quanto sembri. È la resistenza all’ascolto, la paura del cambiamento, la fragilità mascherata da opinione. Ma il punto non è cosa ne pensi tu (generico), il punto è che qualcunə è così. E ha diritto di esistere, di essere riconosciutə, senza bisogno dell’approvazione altrui.
Perché è fondamentale parlarne con chi cresce
Quando una persona giovane inizia a esplorare la propria identità – magari usando parole come “genderqueer”, “non binary”, “gender fluid” – il primo istinto di chi ha un ruolo educativo può essere lo spaesamento. Non sapere come reagire,aver paura di sbagliare, sentirsi una persona impreparata: è comprensibile. Ma il rischio più grande è scegliere il silenzio, o peggio ancora, ridurre tutto a una “fase”.
Essere gender fluid non è una fase: è un’identità valida, reale, profonda. E chi si riconosce in questa esperienza ha bisogno, come tutte e tutti, di rappresentazione, linguaggio, modelli e spazi sicuri.
Una persona che sente di non corrispondere al genere assegnato alla nascita e che non trova intorno a sé persone adulte che accolgano, ascoltino e imparino rischia di interiorizzare vergogna, senso di colpa, solitudine. Al contrario, quando genitrici, genitori, insegnanti, scelgono di aprirsi, di informarsi e di esserci senza giudizio, si diventa ponti. E in un mondo fatto di muri, diventare ponti è un atto rivoluzionario.
Il linguaggio fa la realtà
Parlare di identità di genere in modo corretto non è una questione di “politicamente corretto”: è un atto di giustizia. È permettere a chiunque di esistere senza dover sempre spiegare, giustificare, difendersi.
Utilizzare pronomi rispettosi, domandare come una persona desidera essere chiamata, smettere di usare stereotipi (tipo “le femmine sono più sensibili”, “i maschi devono essere forti”) sono azioni semplici, ma radicali. Che modificano la realtà, la rendono più giusta, più abitabile, più umana.
E non dimentichiamolo mai: il modo in cui noi adulte e adulti parliamo di queste tematiche incide profondamente su chi ci ascolta. Le parole sono semi. E noi possiamo scegliere quali coltivare.
Gender fluid non significa “persona confusa”
Uno degli errori più comuni è associare la fluidità di genere all’instabilità emotiva o alla confusione. Ma una persona gender fluid non è confusa: sta esplorando, ed è questa esplorazione che dovrebbe essere sostenuta e valorizzata, non bloccata.
Chi è gender fluid spesso sviluppa una sensibilità acutissima verso le questioni identitarie, relazionali, esistenziali. E ha molto da insegnare a chi è disposta o disposto ad ascoltare.
Un invito a disimparare
Comprendere cosa significa essere gender fluid non è solo un atto di solidarietà nei confronti delle persone che si identificano così. È un invito a disimparare ciò che ci è stato imposto come “naturale”. A mettere in discussione i ruoli, le aspettative, le gerarchie che ci hanno detto essere inevitabili.
È un’opportunità di crescita anche per noi, per tutte e tutti. Perché la libertà altrui non toglie spazio ad altre persone. Al contrario, allarga la possibilità di esistere pienamente.
Gender fluid: la rivoluzione gentile che fa tremare il patriarcato
Ecco perché, quando una persona giovane dice: “Non mi sento né femmina né maschio”, oppure “Il mio genere cambia”, non c’è niente da temere. C’è solo da imparare. E da ringraziare. Perché chi rompe gli schemi ci ricorda che un altro mondo è possibile.
Nel tempo in cui viviamo, essere gender fluid è anche un atto poetico e politico insieme. Un modo di esistere che non chiede il permesso. Ma che, finalmente, chiede rispetto.