Essere una persona transgender significa vivere un’identità di genere diversa da quella assegnata alla nascita. Questa semplice definizione, tuttavia, racchiude mondi complessi, attraversati da esperienze intime, percorsi non lineari e una società che ancora oggi fatica a guardare con rispetto e chiarezza a ciò che non conosce o che rifiuta di comprendere.
Nel contesto educativo, familiare e scolastico, avere gli strumenti per riconoscere e accompagnare le soggettività transgender è una responsabilità che non può più essere delegata o rimandata. In un tempo in cui il dibattito pubblico è spesso viziato da semplificazioni e disinformazione, serve tornare alla realtà viva delle persone: quella fatta di corpi, voci e desideri.
Identità di genere, sesso assegnato e transizione
Il sesso assegnato alla nascita è ciò che viene attribuito al momento della nascita in base a caratteristiche biologiche. L’identità di genere, invece, è il senso profondo e intimo di appartenenza a un genere (o a nessun genere): può coincidere o meno con quanto ci è stato attribuito. Le persone transgender non si riconoscono nel genere loro assegnato alla nascita: alcune si identificano come donne, altre come uomini, altre ancora al di fuori del binarismo classico (non binarie, genderqueer, agender).
Essere transgender non riguarda il corpo, ma l’identità, il proprio sentire. Alcune persone intraprendono percorsi di affermazione di genere che includono cambiamenti fisici o trattamenti ormonali; altre no. Non esiste un unico modo di essere transgender: ogni vissuto è unico e, soprattutto, valido.
L’infanzia e l’adolescenza transgender: ascolto, non interrogatorio
Quando una persona giovane comunica il proprio sentire, il primo dovere della persona adulta di riferimento non è cercare spiegazioni, ma offrire ascolto. Il bisogno di comprendere può facilmente trasformarsi in un interrogatorio sotto mentite spoglie: ma sei sicura? Ma forse è una fase? Ma non sei troppo piccola o piccolo per capirlo?
La realtà ci dice che le identità transgender non si costruiscono “per moda”, non emergono per capriccio. Spesso, anzi, vengono espresse dopo lunghi silenzi, dopo aver osservato il mondo e capito che la propria autenticità può essere pericolosa. E allora, chi educa ha una responsabilità enorme: non proiettare paura, ma accompagnare.
Cosa possono fare le persone adulte di riferimento
Possono iniziare da un gesto semplice: chiamare per nome. Il nome che una persona sceglie per sé è un atto di autodeterminazione, di verità. Riconoscerlo significa dire: io ti vedo, io ti credo.
Possono creare spazi sicuri, linguaggi adeguati, ambienti dove non serva “giustificarsi” per esistere. Possono imparare, formarsi, chiedere. Possono fare rete con psicologhe, psicologi, attiviste e attivisti che si occupano di educazione e identità di genere.
Possono evitare i sorrisi imbarazzati, gli sguardi bassi, le battute fuori luogo. Possono proteggere, anche nei piccoli gesti quotidiani: un bagno neutro, un documento aggiornato, una presentazione rispettosa.
Il ruolo della scuola e il diritto a essere sé stesse e sé stessi
La scuola ha il potere – e il dovere – di essere uno spazio di legittimazione dell’identità. Il bullismo, la discriminazione, la solitudine sono effetti diretti di un sistema che ancora oggi pretende adattamento invece di offrire riconoscimento. Il benessere psico-emotivo delle persone transgender passa anche dalla possibilità di frequentare un’aula in cui non siano obbligate a difendersi in continuazione.
Non si tratta di creare “eccezioni”, ma di riconoscere che ogni persona ha il diritto di vivere il proprio percorso in sicurezza e dignità.
Smascherare i falsi miti, riconoscere la complessità
No, non si diventa transgender perché influenzate da internet. No, non basta un giorno di malessere per affermare un’identità. No, le famiglie che sostengono figlie e figli transgender non stanno “assecondando un’illusione”: stanno ascoltando le proprie figlie e i propri figli.
Accettare la complessità non significa abdicare alla responsabilità educativa. Significa scegliere l’onestà: uscire dalla logica del sospetto e dell’autorità per entrare in quella della relazione. Ogni parola può ferire o guarire. Ogni gesto può accogliere o respingere.
Non chiedere alle persone transgender di spiegarti chi sono: chiediti perché ti è stato insegnato a non saperlo.