Riflessioni Violenza

Educare al digitale: come proteggere davvero bambine e bambini dalla violenza online?

Viviamo in un’epoca in cui l’accesso al mondo digitale è immediato, onnipresente, quasi inevitabile. Spesso, però, dimentichiamo che quella che per noi adulte e adulti è una comodità – o una distrazione – per chi cresce può trasformarsi in una trappola insidiosa. La violenza online non è un’ipotesi remota, non è un rischio marginale: è un fatto quotidiano. E riguarda anche – soprattutto – l’infanzia.

In questo scenario, sorprende (ma neanche troppo) la superficialità con cui troppe famiglie lasciano i dispositivi nelle mani di figlie e figli con la stessa leggerezza con cui si offrirebbe un giocattolo qualsiasi. Ma uno smartphone non è un peluche. È un portale che apre a possibilità enormi – di apprendimento, di creatività, di scoperta – ma anche a un abisso di pericoli: pornografia, grooming, bullismo digitale, contenuti violenti, modelli distorti di corpo, di affettività, di successo.

Il problema non è il digitale. È il vuoto educativo che ci lasciamo dietro.

Non demonizzo il digitale. Sarebbe ridicolo farlo. Il punto non è se bambine e bambini debbano entrare in contatto con le tecnologie, ma come accompagnarli in questo percorso. Perché il digitale, se ben mediato, può essere un alleato straordinario nello sviluppo di competenze cognitive, comunicative, relazionali. Può stimolare l’apprendimento di lingue, la creatività, il pensiero critico. Ma questo accade solo quando c’è un’educazione consapevole, attenta, presente.

Il problema reale, allora, è il vuoto. Vuoto educativo, vuoto di presenza, vuoto di senso. È quando il tablet diventa la babysitter silenziosa, quando lo smartphone è usato come calmante per la noia, quando si preferisce la comodità di uno schermo alla fatica della relazione. In questo vuoto, la violenza online si insinua facilmente. Ed è lì che cresce, indisturbata.

Violenza online: non è virtuale, è reale

Chiunque lavori con l’infanzia – genitrici, genitori, insegnanti, educatrici ed educatori – dovrebbe aver chiaro un concetto: ciò che accade online ha conseguenze concrete. Le parole scritte su uno schermo possono ferire come lame. Le immagini condivise senza consenso possono distruggere reputazioni, identità, sicurezza. Le interazioni con adulti manipolatori, capaci di sedurre psicologicamente preadolescenti e adolescenti, possono sfociare in violenze vere, in abusi fisici, in traumi duraturi.

La violenza digitale non è “meno grave” di quella che accade offline. È diversa, certo, ma spesso ancora più subdola: si insinua nei momenti di solitudine, si maschera da gioco, si diffonde in silenzio. E lascia le vittime in una condizione devastante di vergogna, isolamento, senso di colpa.

L’analfabetismo digitale delle persone è il vero pericolo

Il vero problema non è solo l’accesso precoce alla rete, ma l’analfabetismo digitale delle persone. Non sapere cosa sia un’app di messaggistica effimera. Ignorare il significato di parole come sextortion, deepfake, revenge porn. Pensare che il bullismo digitale sia “una fase”, che il controllo genitoriale si possa delegare a un’app di parental control.

Quando chi educa si rifiuta di aggiornarsi, di formarsi, di stare al passo, lascia la crescita digitale delle nuove generazioni in balìa dell’algoritmo. E l’algoritmo non educa. L’algoritmo sfrutta. Guadagna attenzione, tempo, click. E se questo vuol dire mostrare a un’undicenne video che sessualizzano il suo corpo o suggerire a un tredicenne contenuti misogini e violenti, non si fa scrupoli.

Il digitale come spazio di potere e controllo

Non dimentichiamoci mai che il digitale è anche il nuovo terreno su cui si gioca il potere. La violenza di genere, quella che si respira nelle case e nelle strade, trova un prolungamento logico e feroce online. Bambine, ragazze, donne vengono esposte, umiliate, molestate, manipolate con strumenti nuovi, ma con le stesse logiche millenarie di controllo e dominio. I corpi femminili diventano merce, i confini vengono costantemente violati, il consenso ignorato.

Chi educa oggi ha il dovere di parlare di questi temi, apertamente. Il pudore non è un valore se alimenta il silenzio. Serve invece una cultura del rispetto, del consenso, dell’autodeterminazione che inizi molto prima dell’adolescenza. Serve un linguaggio che nomini la violenza, che la riconosca anche nelle sue forme digitali, che non si giri dall’altra parte.

Il digitale come risorsa educativa

È importante dirlo con forza: il digitale può essere un’occasione straordinaria, ma non da sole o da soli. Le bambine e i bambini non hanno bisogno di essere “tenuti lontani” dalla rete, ma di essere accompagnati. Hanno bisogno di persone adulte curiose, consapevoli, informate. Che sappiano proporre contenuti di qualità, costruire esperienze significative, condividere visioni del mondo inclusive, aperte, libere dalla cultura patriarcale che ancora domina anche nei nuovi media.

Abbiamo bisogno di un’alleanza educativa forte: tra scuola e famiglia, tra cultura e responsabilità. Perché crescere nel digitale richiede lo stesso impegno che mettiamo in ogni altro ambito formativo: presenza, ascolto, regole, confini chiari.

Non è la rete a fare male, ma il silenzio e la mancanza di assunzione di responsabilità delle persone.

Questo articolo non sostituisce il supporto di una o di un professionista della salute mentale, ma vuole offrire spunti di riflessione e sensibilizzazione su un tema di grande importanza sociale. Se sospetti che una bambina, un bambino o una persona adolescente siano vittime di violenza on line, o se tu stessa o tu stesso stai vivendo una situazione di abuso, chiedi aiuto a professionisti, centri antiviolenza o servizi di supporto specializzati. Parlare è il primo passo per spezzare il silenzio e trovare una via d’uscita.