Il consenso. Una parola semplice, eppure ancora considerata un argomento complesso da affrontare con l’infanzia e l’adolescenza. Siamo abituate e abituati a sentirne parlare nei tribunali, nelle campagne contro la violenza di genere, nei manuali per la prevenzione degli abusi. Ma il consenso non è un concetto da apprendere quando ormai il danno è fatto, né una nozione astratta da riservare al mondo degli adulti. Il consenso è il cuore dell’educazione affettiva e sessuale e va insegnato fin da subito.
Un’educazione che insegna a dire sì (e no)
Insegnare il consenso non significa solo spiegare che “no significa no”. È molto di più. È dare strumenti per riconoscere e rispettare i confini propri e altrui. È imparare a dire di sì quando si desidera davvero qualcosa e a dire di no senza paura di deludere. È saper ascoltare la risposta dell’altra persona, senza forzare, senza insistere, senza manipolare.
Perché allora il consenso continua a essere considerato un tema per persone adulte? Perché c’è ancora chi sostiene che non sia un argomento adatto alle scuole o che parlarne significhi “sessualizzare” l’infanzia? Questa paura è il riflesso di una cultura che confonde educazione con corruzione e che, soprattutto, fatica ad accettare che anche le persone più piccole abbiano diritti sul proprio corpo.
“Dai un bacio alla zia!”: quando il consenso viene ignorato
Immaginiamo questa scena: una bambina o un bambino rifiuta di dare un bacio a una zia, un nonno o un’amica di famiglia. Magari si tira indietro, fa una smorfia, si nasconde dietro il genitore. Eppure, gli adulti insistono:
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“Dai, non fare il/la timido/a!”
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“Su, un bacino alla nonna, che ci resta male!”
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“Non essere maleducato/a, gli adulti si salutano così!”
Alla fine, il piccolo o la piccola, per sfinimento o per paura di deludere, cede. E lo fa senza volerlo davvero.
Questa è una scena che si ripete quotidianamente in tantissime famiglie, eppure quasi nessuno la considera per quello che è: una violazione del consenso.
Molte persone adulte credono che spingere bambine e bambini a baci e abbracci sia un gesto innocuo, un modo per insegnare buone maniere, rispetto e affetto.
Quale messaggio passa?
✔ “Il tuo corpo non ti appartiene del tutto” → Se un genitore o un altro adulto può decidere al posto tuo se devi baciare qualcuno, allora significa che i tuoi confini personali non sono così importanti.
✔ “Non importa se non ti senti a tuo agio, devi compiacere gli altri” → Il desiderio della zia, del nonno o di chiunque altro viene considerato più importante del tuo. Crescendo, questo può trasformarsi nella tendenza a mettere da parte i propri bisogni per non deludere o ferire chi ci sta intorno.
✔ “Se qualcuno insiste, è meglio cedere” → Si abitua a ignorare il proprio istinto e a pensare che dire “no” sia sbagliato, aprendo la strada a relazioni squilibrate anche in futuro.
Educare al consenso non significa solo parlare di sessualità o di relazioni intime. Significa insegnare, fin dall’infanzia, che nessuno ha il diritto di imporre un contatto fisico, nemmeno se è un familiare, nemmeno se ha buone intenzioni.
Non dare un bacio o un abbraccio non è mancanza di rispetto. Il vero rispetto è lasciare che una persona possa scegliere se e come esprimere il proprio affetto.
Quali alternative offrire?
E allora, invece di insistere con frasi come “Dai, almeno un bacino veloce e poi andiamo”, possiamo insegnare altre forme di saluto: un sorriso, un cenno della mano, un “ciao” allegro. Possiamo insegnare che l’affetto non si misura in dimostrazioni forzate, ma in gesti autentici e spontanei.
Perché chi cresce sapendo di avere diritto al proprio spazio, saprà anche rispettare quello degli altri. E questo è il primo passo per costruire una società in cui il consenso non sia più un’eccezione, ma una regola.
Le linee guida europee e il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione
Mentre in Italia il dibattito è ancora polarizzato, a livello europeo il consenso è riconosciuto come un pilastro dell’educazione affettiva e sessuale. Le Linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’educazione alla sessualità in Europa chiariscono che già tra 0 e 4 anni si ha il diritto di sviluppare consapevolezza del proprio corpo, imparando a riconoscere emozioni e confini personali.
Tra i 4 e i 6 anni, si introducono concetti come il rispetto dell’altro, la gestione dei sentimenti e il diritto di dire no. Dai 6 anni in poi, si approfondisce il concetto di consenso nel contesto delle amicizie e delle dinamiche familiari, per poi affrontare le relazioni intime nell’adolescenza.
Eppure, queste linee guida fanno paura. Ci si aggrappa alla narrazione del “lasciamo che siano innocenti”, dimenticando che non è la conoscenza a togliere l’innocenza, ma la violenza, l’imposizione e l’assenza di strumenti per difendersi.
Senza educazione al consenso, vince il modello della sopraffazione
L’assenza di educazione al consenso lascia un vuoto. E quel vuoto viene riempito da modelli sbagliati. Dai cartoni animati dove l’insistenza viene scambiata per romanticismo, alle narrazioni in cui chi dice no alla fine “cede”, fino ai videogiochi e ai social network che diffondono stereotipi di genere tossici.
Non insegnare il consenso significa lasciare che siano altre fonti a educare. Fonti che spesso insegnano che il potere è più importante della volontà, che chi resiste prima o poi “capirà”, che il desiderio altrui è secondario rispetto al proprio.
Non è un caso che la cultura dello stupro si radichi proprio in questa mancanza di educazione. Se nessuno spiega che il desiderio deve essere reciproco, che l’entusiasmo è la vera chiave del consenso e che “no” non è l’inizio di un gioco di seduzione, allora la società continuerà a produrre relazioni squilibrate, basate sulla coercizione più che sulla libertà.
Chi ha paura di un’educazione che rende liberi?
Chi si oppone all’insegnamento del consenso teme, in realtà, la perdita di controllo. Perché chi impara a dire no con sicurezza non è più manipolabile. Perché chi riconosce i propri confini e quelli altrui non si piega ai ruoli imposti. Perché chi cresce con la consapevolezza di avere diritto alla propria voce diventa una persona difficile da sottomettere.
E allora la domanda vera è: a chi conviene davvero che il consenso resti un tabù?
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