Educazione affettiva e sessuale

L’educazione affettiva è una minaccia? Storia di un tabù educativo

L’educazione affettiva e sessuale continua a essere un argomento scomodo, evitato o addirittura demonizzato. In molte scuole, parlarne è ancora un’eccezione più che la norma, mentre nel dibattito pubblico si trasforma spesso in un campo di battaglia ideologico. Ma perché questo tema è così controverso? E, soprattutto, da dove nasce la paura di affrontarlo?

Paura e pregiudizio: il riflesso di un tabù culturale

Se proviamo a osservare la reazione di molte persone di fronte all’idea di insegnare l’educazione affettiva e sessuale a bambine, bambini e adolescenti, ci accorgiamo che la resistenza non è solo pratica, ma profondamente culturale. L’idea che parlare di emozioni, relazioni e sessualità possa “anticipare” esperienze o “corrompere” chi ascolta è il cuore di un tabù educativo ancora radicato.

Questa visione nasce dalla confusione tra educazione e incitamento: si teme che parlare di affettività e sessualità possa spingere le giovani generazioni a “fare cose” per le quali non sarebbero pronte. In realtà, la ricerca dimostra l’esatto contrario: un’educazione affettiva e sessuale adeguata e basata su evidenze scientifiche aiuta a sviluppare relazioni più sane, aumenta la consapevolezza di sé e riduce comportamenti a rischio.

Eppure, persiste l’idea che il silenzio sia una forma di protezione. Ma protezione da cosa? Dalla conoscenza? Dalla consapevolezza?

Educare o controllare?

Il vero nodo della questione è il controllo. La paura di insegnare a bambine, bambini e adolescenti a conoscere il proprio corpo, le proprie emozioni e i propri desideri nasce dall’idea che la libertà di scelta sia pericolosa. Questo vale soprattutto quando si parla di autodeterminazione femminile e delle persone LGBTQIA+: chi ha paura dell’educazione affettiva e sessuale teme, in realtà, di perdere il potere di definire ciò che è giusto o sbagliato per le altre persone.

Non è un caso che i Paesi con programmi strutturati di educazione affettiva e sessuale abbiano tassi più bassi di gravidanze precoci e di violenza di genere. Quando bambine, bambini e adolescenti ricevono informazioni corrette e imparano a riconoscere i propri confini e quelli altrui, diventano più capaci di costruire relazioni sane.

Ma tutto questo spaventa chi vorrebbe mantenere lo status quo.

Il prezzo del silenzio

L’assenza di educazione affettiva e sessuale non lascia un vuoto neutro: viene riempita da messaggi sbagliati. Se le famiglie, la scuola e la società non offrono strumenti adeguati, bambine e bambini cresceranno comunque con un’idea della sessualità, solo che la costruiranno attraverso fonti non controllate, spesso dannose. Internet, pornografia, social media e narrazioni tossiche prenderanno il posto dell’educazione, offrendo modelli distorti e irraggiungibili.

E il problema non riguarda solo la sessualità: un’educazione affettiva mancata genera adulti che faticano a gestire le proprie emozioni, incapaci di riconoscere i propri bisogni e quelli altrui. In un’epoca in cui le relazioni tossiche, la dipendenza affettiva e la violenza nelle coppie sono ancora così diffuse, ci si dovrebbe chiedere se il vero pericolo non sia piuttosto il non parlare di questi temi.

A questo si aggiunge un altro problema: senza un’educazione affettiva e sessuale, bambine e bambini diventano più vulnerabili agli abusi. Se nessuno insegna loro a riconoscere il consenso, il rispetto reciproco e i limiti personali, come potranno difendersi da chi non li rispetta?

La grande ipocrisia

Spesso chi si oppone all’educazione affettiva e sessuale parla di protezione dell’infanzia, ma il paradosso è che proprio il silenzio espone bambine e bambini a più rischi. L’ipocrisia è evidente: la stessa società che demonizza l’educazione affettiva e sessuale normalizza l’iper-sessualizzazione nei media, nel marketing e nei social network.

Si impongono modelli irraggiungibili di bellezza, si trasmettono stereotipi di genere rigidi e si promuove un’idea di relazione in cui il possesso viene confuso con l’amore. Eppure, quando si tratta di fornire strumenti reali per comprendere e affrontare questi messaggi, scatta la censura.

Chi ha paura della consapevolezza?

Alla fine, la domanda è questa: perché avere paura di un’educazione che insegna il rispetto, l’autonomia e la conoscenza di sé? Forse, perché una società di persone consapevoli, capaci di autodeterminarsi e di dire no alle dinamiche oppressive fa paura a chi, su quelle dinamiche, ha costruito il proprio potere.