Insegnare l’empatia non è un lusso, né un’aggiunta facoltativa ai programmi scolastici o familiari: è un’urgenza educativa. Nella società attuale, dove l’ipersessualizzazione da un lato e la repressione emotiva dall’altro generano confusione e disagio, è necessario dare valore alla dimensione affettiva, relazionale ed emotiva della crescita.
Chi si prende cura di bambine, bambini e adolescenti — genitrici, genitori, insegnanti — ha il dovere, oltre che l’opportunità preziosa, di offrire strumenti di consapevolezza. L’empatia è uno di questi: un vero e proprio muscolo psichico da allenare, affinché chi cresce impari a riconoscere le emozioni proprie e altrui, a comprenderle e a gestirle con responsabilità.
L’educazione affettiva come fondamento
L’educazione affettiva non è “parlare d’amore” in senso superficiale. È dare parola e dignità a tutto ciò che riguarda il sentire: rabbia, paura, felicità, tristezza, vergogna. È un processo psicologico e culturale che coinvolge il corpo, il linguaggio, le relazioni e l’autodeterminazione.
Partire da qui significa aiutare le nuove generazioni a riconoscere e a legittimare le emozioni, contrastando fin dall’infanzia la violenza simbolica che troppo spesso si traduce in frasi come “non piangere, non è niente”, “non fare così, sei esagerata/o”, “devi essere forte”. Espressioni che annullano il sentire e pongono le basi per una pericolosa dissociazione emotiva.
Perché l’empatia è rivoluzionaria
L’empatia autentica — quella che si nutre di ascolto, di sospensione del giudizio, di curiosità — è un atto rivoluzionario. Impararla significa sovvertire la cultura del dominio, del controllo, del “più forte”. È strumento di prevenzione contro ogni forma di violenza: quella verbale, fisica, psicologica, sessuale.
Quando insegniamo a una persona giovane a dire “sto provando rabbia”, invece che a scaricare quella rabbia sulle altre persone o su se stessa, stiamo contribuendo a formare una persona consapevole. Quando validiamo la sua tristezza senza cercare di “aggiustarla”, stiamo costruendo sicurezza interiore. Quando parliamo apertamente di consenso, di piacere, di limiti, stiamo facendo prevenzione e tutela.
Come si insegna l’empatia?
Empatia non si insegna a parole, ma si trasmette con l’esempio. L’educazione emotiva non passa solo dai libri, ma dai gesti quotidiani, dalle reazioni di chi si prende cura. Ogni volta che una persona si mostra vulnerabile, accogliente, disposta a dire “non lo so” oppure “anch’io provo paura”, apre uno spazio di apprendimento.
Alcuni strumenti concreti per coltivare l’empatia:
Letture condivise: la letteratura per l’infanzia e l’adolescenza offre narrazioni che permettono di mettersi nei panni altrui, esplorare mondi emotivi e relazionali con delicatezza e profondità. Gioco simbolico e teatro: interpretare ruoli diversi consente di esplorare dinamiche affettive e sociali, ampliando la capacità di comprendere punti di vista diversi. Routine dell’ascolto: prevedere momenti quotidiani in cui si chiede “come ti senti?” senza fretta, senza giudizio, e con reale interesse. Educazione al corpo: dare nomi corretti alle parti del corpo, parlare di confini, intimità e rispetto fin da piccolissime e piccolissimi è fondamentale per costruire sicurezza e consapevolezza.
Parole chiare per emozioni complesse: accompagnare le esperienze con un linguaggio preciso (“vedo che sei frustrata/o, può succedere, vuoi parlarne?”) rafforza la capacità di autoregolarsi e di comunicare.
Sessualità e relazioni: non possiamo più tacere
Parlare di sessualità non significa parlare di sesso. Significa parlare di rispetto, consenso, identità, desiderio, orientamento, piacere, autodeterminazione, confini. L’educazione sessuale, se integrata con quella affettiva, diventa lo strumento per prevenire violenze, discriminazioni, stereotipi di genere e per favorire relazioni sane e consapevoli.
Non possiamo più permetterci di delegare questo compito a internet, al porno, alla casualità, all’amico di turno. Se non siamo noi, persone formate, a nominare ciò che conta, qualcun altro lo farà al posto nostro. E lo farà male.
La questione di genere e l’empatia come giustizia
Le identità di genere, i ruoli imposti, la pressione normativa che distingue in “maschile” e “femminile” non possono più essere ignorati. Parlare di educazione affettiva e sessuale senza considerare la dimensione di genere significa mantenere vivo un sistema diseguale.
L’empatia è anche riconoscere il privilegio e la marginalità. È vedere la discriminazione, nominarla e contrastarla. È insegnare alle nuove generazioni che le emozioni non hanno genere, che il pianto non è debolezza, che la dolcezza non è femminile, che la rabbia non è solo maschile.
Quando parliamo di empatia, stiamo parlando di libertà
Chi impara a nominare ciò che prova, a rispettare i confini, a riconoscere la molteplicità delle differenze, diventa una persona più libera. Libera da imposizioni, da automatismi, da ruoli rigidi, da violenze interiorizzate.
Educare all’empatia è un atto di cura collettiva. Un modo per costruire una società dove nessun individuo si senta sbagliato, dove le emozioni non siano motivo di vergogna e dove le relazioni siano spazi di fioritura, non di sopravvivenza.
Chi educa all’empatia salva il mondo. Una relazione alla volta.