Riflessioni

La storia dell’omosessualità nelle civiltà antiche: tra accettazione e repressione

In un mondo in cui la complessità degli orientamenti sessuali è ancora oggetto di fraintendimenti, giudizi e discriminazioni, uno sguardo attento alle civiltà del passato e alla storia dell’omosessualità può restituirci non solo un senso di prospettiva, ma anche strumenti per comprendere quanto l’identità, l’amore e il desiderio abbiano sempre fatto parte dell’esperienza umana. E quanto il controllo su questi aspetti sia sempre stato un potente strumento politico e culturale.

Antichità greca e romana: eros, status e potere

Nella Grecia antica, l’omosessualità era ampiamente praticata e, in certi contesti, persino idealizzata. La relazione pederastica — tra un adulto (erastès) e un giovane (eròmenos) — non era solo tollerata, ma rappresentava una forma di educazione sentimentale, sociale e politica. Tuttavia, questa relazione non era paritaria: si fondava su ruoli ben definiti, in una struttura di potere che rifletteva la gerarchia sociale.

È importante notare come l’amore tra donne, pur meno documentato, esistesse ugualmente. L’isola di Lesbo e la poetessa Saffo sono simboli immortali di un erotismo femminile spesso oscurato dalla storiografia patriarcale. Il silenzio sulle relazioni tra donne non era tanto sinonimo di repressione quanto una strategia di invisibilizzazione.

A Roma, la situazione era ambivalente: l’omosessualità maschile era tollerata finché il cittadino romano assumeva il ruolo “attivo”. Il corpo dell’altro — solitamente uno schiavo o un giovane di status inferiore — era oggetto del desiderio, ma non soggetto riconosciuto. Qui il controllo sociale passava attraverso la distinzione tra chi esercitava il potere e chi lo subiva.

Civiltà non occidentali: fluidità e sacralità

Non tutte le culture antiche hanno vissuto l’omosessualità come deviazione o minaccia. In molte società precoloniali, l’identità di genere e l’orientamento sessuale erano vissuti con una naturalezza che sorprenderebbe gli standard odierni.

Nell’India antica, i testi sacri come il Kāmasūtra parlano di amori tra persone dello stesso genere con un linguaggio né scandalizzato né repressivo. Esistono testimonianze di hijra, persone che non rientrano nel binarismo di genere e che ricoprivano ruoli rituali e sociali significativi. Solo con la colonizzazione britannica arrivò la criminalizzazione sistematica dell’omosessualità.

Anche le popolazioni native americane riconoscevano le identità Two-Spirit, persone che integravano aspetti maschili e femminili e che spesso ricoprivano ruoli spirituali e comunitari fondamentali. La loro esistenza era rispettata e celebrata, non stigmatizzata.

Cristianesimo, colonizzazione e pathologizzazione

Il punto di svolta nella percezione dell’omosessualità avviene con l’affermarsi del cristianesimo come potere istituzionale e morale. Da pratica tollerata o sacralizzata, l’omosessualità viene progressivamente associata al peccato, alla devianza e, più avanti, alla malattia.

Durante il Medioevo europeo, le relazioni tra persone dello stesso genere vengono perseguitate con ferocia. La Chiesa condanna gli atti non procreativi e la repressione assume i toni dell’inquisizione e della pubblica umiliazione.

Con l’Illuminismo e l’avvento della psichiatria, la morale religiosa lascia spazio alla medicalizzazione: l’omosessualità non è più un peccato, ma diventa una “malattia da curare”. Nascono teorie patologizzanti e, con esse, terapie riparative che tenteranno per secoli di “normalizzare” ciò che non ha mai avuto bisogno di essere corretto.

Le cicatrici del tempo e l’eredità collettiva

Tutti questi passaggi storici hanno lasciato un’eredità profonda: l’omofobia interiorizzata, il senso di colpa, la vergogna. Non si tratta solo di eventi del passato, ma di schemi ancora attivi nel presente, spesso camuffati da silenzi, mancate narrazioni, sguardi evitanti. O, peggio ancora, da un’educazione omissiva, che nega a bambine e bambini la possibilità di vedersi rappresentate e rappresentati nei libri, nei film, nei discorsi delle persone adulte.

È fondamentale che le figure educative — madri, padri, insegnanti, professioniste professionisti del sociale — riconoscano come la storia dell’omosessualità non sia una questione di “moderne ideologie”, ma una parte integrante della storia dell’umanità. E che inizino a interrogarsi su cosa significa davvero educare a una cultura delle differenze: non come tolleranza (che implica superiorità), ma come riconoscimento e valorizzazione.

Non è mai stato “contro natura”. È stato solo contro potere

La storia dell’omosessualità non è una deviazione dai canoni naturali, ma una sfida ai canoni imposti. Le relazioni affettive tra persone dello stesso genere, le identità fluide, le espressioni di genere non conformi hanno sempre fatto parte dell’umano. È il potere — religioso, politico, economico — che ha deciso cosa meritava di esistere e cosa no.

Chi oggi si occupa di educazione, supporto, crescita e cura dovrebbe avere la consapevolezza che ogni gesto di silenzio o rimozione contribuisce a perpetuare una lunga catena di esclusione. Ma ogni parola detta, ogni libro letto insieme, ogni domanda accolta senza imbarazzo, è una forma di resistenza.

Non siamo davanti a una battaglia recente. È solo una battaglia che dobbiamo iniziare a raccontare e riscrivere.