La pedofilia è una delle forme di violenza più gravi e devastanti, eppure continua a essere minimizzata, insabbiata, negata. Se ne parla solo nei casi più eclatanti, quando la cronaca è costretta a occuparsene, ma la questione viene presto rimossa, come se non riguardasse la società nel suo insieme. E invece riguarda tutte e tutti.
Chi ha il compito di educare, accompagnare e proteggere bambine e bambini, ragazze e ragazzi ha la responsabilità di garantire loro sicurezza e rispetto, senza eccezioni. Ma quando il pericolo arriva proprio da chi dovrebbe proteggere, quando l’abuso avviene nelle famiglie, nelle istituzioni educative, nei contesti religiosi o sportivi, allora il silenzio diventa complice.
Pedofilia: un problema culturale, non solo criminale
Parlare di pedofilia significa andare oltre il singolo caso di abuso. Significa interrogarsi su come la società abbia permesso che questo fenomeno si radicasse e su come, ancora oggi, venga sottovalutato o nascosto.
Per secoli, il potere patriarcale ha costruito una cultura in cui le bambine e i bambini non avevano diritti propri, ma erano considerati proprietà delle famiglie o della comunità. Questo ha reso possibile, e in alcuni casi perfino legittimo, il controllo sui loro corpi.
Fino a tempi relativamente recenti, in molti Paesi i rapporti sessuali con minori erano regolati – e lo sono tuttora – in modo ambiguo, e la stessa legge ha spesso faticato a riconoscere la violenza su bambine e bambini come un crimine autonomo e non solo un “reato contro la morale”. Ancora oggi, in alcuni contesti, l’abuso viene minimizzato, con legislazioni che non proteggono adeguatamente le vittime o che consentono scappatoie giuridiche per chi commette questi crimini.
Oggi, sebbene esistano leggi più severe in Occidente, la pedofilia continua a trovare spazi di occultamento e giustificazione. Il concetto di “abuso” viene relativizzato, si tende a minimizzare il danno subito dalle vittime, e spesso chi denuncia viene messo in dubbio.
Perché la società non vuole vedere il problema?
La pedofilia è un argomento scomodo, che genera rifiuto e orrore. Il problema, però, è che questo orrore porta molte persone a non voler vedere, a negare che possa accadere vicino a loro. Ci si convince che l’abuso sia qualcosa di eccezionale, commesso da individui isolati, mostri da cui prendere le distanze. Ma il vero pericolo non è solo nei casi estremi: è nel sistema che permette agli abusi di avvenire senza conseguenze.
Il pericolo più vicino: gli abusi in famiglia
Quando si parla di pedofilia, molte persone immaginano aggressori sconosciuti, il classico “mostro” che adescava le vittime nei vicoli bui. Ma la realtà è molto diversa. Le statistiche mostrano che la maggior parte degli abusi sessuali su bambine e bambini, ragazze e ragazzi avviene all’interno della famiglia o in ambienti di fiducia. Spesso, chi commette violenza è un genitore, un parente stretto, un amico di famiglia, un insegnante, un allenatore, una figura religiosa.
Questo dato rende il problema ancora più complesso, perché il legame affettivo tra la vittima e l’abusante crea un’enorme difficoltà nella denuncia. Molte bambine e molti bambini subiscono violenza senza riuscire a riconoscerla come tale, e spesso le famiglie e le istituzioni scelgono il silenzio per proteggere la propria immagine.
Alcuni meccanismi che favoriscono il silenzio:
🔹 Il mito del “bravo padre di famiglia” o della persona rispettabile. Molti abusatori sono figure insospettabili, appartenenti a contesti sociali stimati. Questo rende più difficile credere alle vittime e più facile giustificare il carnefice.
🔹 L’omertà istituzionale. Famiglie, scuole, comunità religiose, ambienti sportivi: spesso chi sa preferisce non esporsi per non “rovinare la reputazione” di qualcuno o per proteggere l’immagine dell’istituzione.
🔹 Il linguaggio che sminuisce. Si parla di “relazioni inappropriate” invece che di violenza, di “episodi” invece che di un sistema diffuso. Questo contribuisce a minimizzare la gravità della pedofilia.
L’infanzia e l’adolescenza non si toccano: la responsabilità degli adulti
Proteggere bambine e bambini significa non voltarsi dall’altra parte, significa saper riconoscere i segnali di un possibile abuso e denunciare senza paura.
Alcuni segnali che possono indicare una situazione di abuso:
🔹 Cambiamenti improvvisi nel comportamento: ansia, paure apparentemente inspiegabili, aggressività o chiusura.
🔹 Difficoltà scolastiche senza motivo apparente, rifiuto improvviso di andare a scuola o di partecipare ad attività.
🔹 Comportamenti sessualizzati non adeguati all’età.
🔹 Paura o disagio nei confronti di un adulto specifico.
Gli insegnanti, le educatrici e gli educatori, le genitrici e i genitori devono essere consapevoli che la violenza sessuale sui minori non è solo una questione giudiziaria, ma anche culturale ed educativa. È necessario rompere il tabù che circonda questo tema, parlarne apertamente con le bambine e i bambini, insegnare loro a riconoscere le situazioni pericolose e a non sentirsi mai in colpa se subiscono un abuso.
La pedofilia online: il pericolo invisibile
Oggi, la rete ha amplificato il fenomeno degli abusi sui minori. La pedopornografia, la manipolazione emotiva attraverso i social (grooming), la condivisione di immagini senza consenso sono solo alcune delle minacce sempre più diffuse.
La facilità con cui persone adulte malintenzionate possono entrare in contatto con adolescenti e bambine e bambini è un problema enorme. Piattaforme digitali che dovrebbero essere luoghi di svago possono trasformarsi in spazi di adescamento. La sorveglianza e l’educazione digitale sono essenziali: non si tratta di vietare la tecnologia, ma di insegnare a utilizzarla in modo consapevole e sicuro.
Chi resta in silenzio è complice
Il più grande alleato della pedofilia è il silenzio. Ogni volta che si sceglie di non credere a una vittima, che si preferisce “non indagare troppo” su una situazione sospetta, che si accetta di ridurre tutto a un “errore” invece che a un crimine, si sta proteggendo il carnefice.
Non basta indignarsi davanti ai casi più eclatanti: è necessario smontare la cultura che rende possibile l’abuso. Questo significa educare al consenso, insegnare alle bambine e ai bambini che nessuno ha il diritto di oltrepassare i loro limiti, dare strumenti a genitrici e genitori, insegnanti ed educatori per riconoscere e prevenire la violenza.
La pedofilia è un problema di responsabilità collettiva. E finché ci sarà chi sceglie di non vedere, il problema continuerà a esistere.