Quando si parla (quando si parla?) di educazione affettiva e sessuale, di rispetto e di consapevolezza emotiva, si tende spesso a declinare il discorso al femminile. Si parla – giustamente – di come aiutare le bambine a crescere libere, autonome, non soggette a stereotipi, a molestie, a giudizi. Ma c’è un altro lato della medaglia che resta, troppo spesso, opaco e pericolosamente ignorato: quello dell’educazione dei figli maschi e della pericolosità della mascolinità tossica.
Di cosa stiamo parlando?
La mascolinità tossica non è una condanna biologica, ma un costrutto culturale. È un insieme di comportamenti, convinzioni e norme che spingono i ragazzi e gli uomini a reprimere emozioni, a legittimare la violenza come strumento di affermazione, a escludere tutto ciò che viene percepito come “femminile”, debole, morbido. È quella voce che sussurra “non piangere”, “non fare la femminuccia”, “devi essere forte”, “un vero uomo non si innamora troppo”.
Il danno? Profondo e duplice. Da un lato c’è chi cresce con l’impossibilità di accedere a se stesso, di nominare i propri stati d’animo, di chiedere aiuto. Dall’altro, c’è una società che si ritrova poi a fare i conti con adulti incapaci di empatia, di responsabilità affettiva e, talvolta – nei casi peggiori – potenzialmente violenti.
La responsabilità di chi educa
Se sei genitrice, genitore, insegnante o professionista che lavora a contatto con l’infanzia e l’adolescenza, la tua responsabilità è enorme. Non si tratta solo di “correggere” comportamenti sbagliati quando emergono. Si tratta di prevenirli. Di piantare altri semi.
Significa smettere di ridere se un bambino dà uno schiaffo “perché è geloso”. Significa non comprare solo giochi di guerra e supereroi virili. Significa insegnare a chiedere scusa, a parlare del proprio dolore, a rispettare i confini altrui. Significa dare voce al desiderio, all’affetto, alla gentilezza.
Educare un maschio a essere libero dagli stereotipi è una delle azioni più urgenti che dobbiamo compiere
Le ferite che non si vedono
Un ragazzo cresciuto sotto il peso della mascolinità tossica può diventare molte cose: un uomo anaffettivo, un partner assente, un padre che non sa comunicare, un adulto che ha paura della propria fragilità. Può diventare anche – e accade spesso – qualcuno che trasforma la rabbia in dominio, la frustrazione in potere, l’insicurezza in violenza.
E tutto questo comincia da frasi apparentemente innocue, da atteggiamenti inconsapevoli, da gesti che ci sembrano banali. Ma non lo sono. Perché quando a un maschio viene impedito di piangere, di abbracciare, di danzare, di parlare della propria paura, gli stiamo strappando via una parte fondamentale di sé. Gli stiamo dicendo che esiste un solo modo di essere uomo. E che se non lo segue, verrà escluso, umiliato, punito.
Mascolinità sana: un’altra possibilità
Sì, un altro modo è possibile. Un figlio maschio può imparare a essere forte e vulnerabile, a dire “mi dispiace” senza sentirsi meno uomo, a costruire relazioni basate sul consenso, sul rispetto, sull’ascolto.
Questo significa anche smettere di dire “lo farà da grande”, “è una fase”, “sono cose da maschi”. Non è mai troppo presto per insegnare l’empatia. E non è mai troppo tardi per cambiare una narrazione.
Significa offrire modelli differenti: uomini che cucinano, che si prendono cura, che parlano di emozioni senza vergogna. Significa anche parlare apertamente di orientamento sessuale, di identità di genere, di piacere, di relazioni consapevoli. Sì, anche – e soprattutto – se tuo figlio è etero. Sì, anche se ha cinque anni.
I rischi dell’omissione
Ogni volta che evitiamo una conversazione scomoda, ogni volta che lasciamo correre un comportamento aggressivo o sessista, ogni volta che minimizziamo, stiamo contribuendo – anche se in buona fede – a costruire l’impalcatura della violenza.
E questa impalcatura regge finché qualcuno non si fa male.
La scuola, la famiglia, lo sport, i media: tutti questi ambiti dovrebbero diventare luoghi in cui la mascolinità non è un obbligo, ma una possibilità tra le tante. Dove un maschio non si vergogna di amare, di chiedere scusa, di perdersi, di cambiare idea. Dove può essere umano, prima che uomo.