Parlare di educazione affettiva e sessuale significa, oggi più che mai, fare spazio alla complessità dei legami e delle origini. Eppure, tra i molti aspetti ancora poco affrontati, c’è quello delle diverse forme di concepimento. In particolare, la Procreazione Medicalmente Assistita – PMA – resta un tema raramente incluso nel discorso educativo. Spesso ignorato, ridotto a questione tecnica o rimandato a un indefinito “quando sarà più grande”.
Eppure sono sempre di più le persone che crescono nate grazie alla PMA. Figlie e figli attesi, pensati, desiderati. E non parlarne, o parlarne male, non è mai neutro: crea invisibilità. Alimenta tabù. Rafforza l’idea che esista un solo modo giusto di venire al mondo.
Parlare di PMA non è precoce, è onesto
Spiegare la PMA a chi cresce non significa aprire un capitolo scomodo. Significa restituire dignità alle diverse storie familiari, riconoscere i corpi, i desideri, i percorsi che si intrecciano dietro ogni nascita. Non tutte e tutti nascono “dal seme del papà e dall’ovulo della mamma” come raccontano ancora molti libri. Alcune persone vengono al mondo grazie a un aiuto medico, attraverso un percorso costruito nel tempo, fatto di decisioni, attese e sostegno. A ricorrere alla PMA sono persone e coppie molto diverse tra loro.
Ci sono coppie eterosessuali che, per motivi medici, non riescono a concepire in modo naturale. Ci sono coppie di donne. Ci sono donne single che desiderano diventare genitrici. Ma è importante sapere che, in Italia, l’accesso alla PMA è consentito solo alle coppie eterosessuali sposate con una diagnosi di infertilità o sterilità. Le altre realtà sono costrette a rivolgersi ad altri Paesi, affrontando percorsi spesso complessi, costosi e carichi di ostacoli culturali e legali (aspetto che merita di essere approfondito in un altro articolo).
Queste storie non sono più rare e meritano di essere raccontate con la stessa cura con cui si raccontano le altre. Evitare non protegge: silenziare crea vergogna, senso di inadeguatezza, distanza.
Le parole per dirlo
Spiegare non vuol dire semplificare in modo ingenuo. Vuol dire scegliere le parole con consapevolezza. E quando si tratta di chi cresce, le parole contano ancora di più. Non servono racconti fantasiosi né formule complicate: serve verità detta con delicatezza.
Si può dire, ad esempio, che alcune persone per diventare genitrici e genitori si affidano a mediche e medici. Che talvolta si usano ovuli o spermatozoi donati. Che si può creare un embrione in laboratorio e poi portarlo nell’utero della persona che lo accoglierà. Che anche così si nasce. Che anche così si ama.
Il livello di dettaglio dipende dall’età e dal contesto. Ma il principio resta: mai mentire, mai nascondere, mai ridicolizzare. La PMA non è un’anomalia, non è un mistero da svelare più avanti. È una delle strade attraverso cui le relazioni si fanno famiglia.
Educare al rispetto delle origini
Chi nasce attraverso la PMA ha diritto, come chiunque, a conoscere la propria storia. Ma anche chi non è direttamente coinvolto deve poter crescere in un contesto in cui le diverse modalità di nascita sono riconosciute e rispettate. È così che si costruisce una cultura dell’affettività più ampia e consapevole.
Includere la PMA nei percorsi educativi significa anche contrastare l’idea di una genitorialità obbligatoriamente legata a determinati ruoli biologici o a modelli tradizionali. Significa insegnare che esistono tante forme d’amore e che ogni storia – se costruita con responsabilità, cura e presenza – ha piena cittadinanza nel mondo dell’infanzia. E questo non ha nulla a che fare con i legami biologici o “tradizionali” ma con scelte consapevoli e con la maturità emotiva di chi decide di creare una famiglia.
La scuola, le famiglie, la società
La scuola, i contesti educativi, le famiglie, ma anche i media e i libri per l’infanzia hanno il compito – e la possibilità – di raccontare queste realtà. Servono parole nuove, immagini nuove, narrazioni che non si fermino allo schema madre-padre-figlio o figlia. Serve un linguaggio che non escluda, che non lasci nessuna e nessuno nell’ombra.
Chi cresce merita una visione del mondo che non sia ristretta, parziale o normativa. E anche chi educa ha bisogno di strumenti, supporti e spazi di confronto per imparare a parlarne, senza paura di sbagliare.
Ogni nascita porta con sé una storia
E ogni storia merita ascolto. Alcune iniziano in ospedale, altre con una donazione, altre ancora attraversano anni di attese. Non esiste una sola verità sull’origine della vita. Esistono tante esperienze, tutte reali, tutte valide.
Raccontarle con attenzione è un gesto culturale e affettivo insieme. Perché non è solo di corpi che parliamo, ma di identità, appartenenze, possibilità. E perché, in fondo, nessuna nascita è mai solo biologica. Ogni nascita è anche culturale, relazionale, simbolica. È un atto dentro di noi che prende forma.
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