Il cervello in crescita non è un cervello immaturo
Nel grande fermento culturale e sociale che oggi attraversa l’infanzia e l’adolescenza, comprendere il funzionamento del cervello nei primi anni di vita non è più materia solo da addette e addetti ai lavori della neuropsichiatria infantile. È una necessità. Un’urgenza che interpella chiunque – genitrici, genitori, insegnanti, educatrici ed educatori – si relazioni con le giovani generazioni.
Perché una bambina urla disperata al supermercato? Perché un adolescente si chiude in camera in silenzio, senza comunicare? La risposta non sta nella “maleducazione” o nel “carattere difficile”. La risposta, spesso, sta nel cervello (e nella relazione con le persone di riferimento).
Un cervello ancora in costruzione
Dal punto di vista neuroscientifico, il cervello umano non è pienamente sviluppato alla nascita. E questo è un bene. Lo sviluppo prolungato nei primi venticinque anni di vita permette un’enorme plasticità neurale, ossia la capacità di adattarsi, apprendere, ristrutturarsi sulla base dell’ambiente, delle relazioni e delle esperienze.
Nei primi anni, la parte maggiormente attiva è il cervello primitivo – quello che regola le funzioni di sopravvivenza, le reazioni istintive, il bisogno di attaccamento. La corteccia prefrontale, invece, deputata a funzioni complesse come la regolazione emotiva, la pianificazione, l’inibizione degli impulsi, è ancora in piena costruzione.
Emozioni, non reazioni: un cambio di paradigma
Comprendere questo meccanismo è una rivoluzione silenziosa. Ci obbliga a smettere di reagire ai comportamenti di chi cresce come se fossero intenzionali o manipolatori. E ci invita, invece, a riconoscere le emozioni che stanno dietro a quel comportamento.
Quando una bambina o un bambino si mette a piangere perché si è rotto un biscotto, non è il biscotto in sé il problema. È la frustrazione, l’impotenza, la difficoltà a tollerare una piccola perdita. È una grande emozione in un corpo piccolo.
L’ironia amara delle persone adulte dis-regolate
Fa sorridere – amaramente – pensare a quanta insofferenza esprima una persona adulta di fronte a un pianto infantile, etichettandolo subito come “capriccio”, mentre magari l ei o lui stesso si ritrova preda dell’ansia per un imprevisto, schiacciata da una rabbia che esplode o da una tristezza che paralizza.
In realtà, non esiste essere umano immune dalla fatica emotiva. Ma c’è una differenza: le piccole e i piccoli non hanno ancora avuto tempo e contesto per apprendere a stare in quella fatica. Le persone adulte sì.
L’importanza della co-regolazione
A questo punto entra in scena il concetto fondamentale di co-regolazione. Il cervello in via di sviluppo si modella a partire dalle esperienze relazionali. Una persona adulta capace di accogliere il pianto, di nominare l’emozione, di rimanere presente senza giudizio, offre un’esperienza che letteralmente modifica l’architettura cerebrale.
Il sistema nervoso si calma per risonanza. I neuroni specchio si attivano. La sicurezza emotiva si costruisce nella ripetizione di queste piccole esperienze di regolazione condivisa.
Contesti sociali che non aiutano
Tuttavia, questa consapevolezza neuroscientifica si scontra con una cultura ancora troppo legata al controllo e alla performance. Si chiede a chi cresce di essere “brava”, “bravo”, “tranquilla”, “tranquillo”, “sempre sorridente”. Si chiede di conformarsi, di reprimere, di compiacere.
Il nostro sistema educativo è spesso impreparato a riconoscere la profondità emotiva dell’infanzia. E questo lascia persone giovani e adulte disorientate quando crescono.
Il ruolo delle emozioni nella salute mentale
Le emozioni non sono un intralcio, ma il carburante dello sviluppo cognitivo. La capacità di regolare le emozioni, sviluppata attraverso relazioni significative e sicure, è il fondamento della salute mentale.
Educare alle emozioni riduce il rischio di ansia, depressione, comportamenti aggressivi e migliora empatia, autonomia, cooperazione.
Non è solo una questione individuale: è culturale, è collettiva.
Oltre la retorica del “tutto bene”
Serve una rivoluzione culturale che legittimi il pianto, la noia, la rabbia, la paura. Che restituisca alle emozioni il loro valore informativo, anziché considerarle un problema da correggere.
Nessuna co-regolazione è possibile senza auto-regolazione. E per questo, è necessario che anche chi educa faccia i conti con la propria storia emotiva.
Il cervello cresce in relazione, non da solo
Sì, il cervello cresce. Ma non lo fa in isolamento. Ha bisogno di volti che guardano, di braccia che contengono, di parole che accolgono. Cresce nei legami, nella relazione.
E quando un’emozione trova finalmente uno spazio dove esistere, qualcosa cambia per sempre.