Un giorno come tanti… o forse no
Lo osservavo da un po’. Era un bambino dolce, rispettoso, mai fuori posto. Ma c’era qualcosa che mi faceva pensare. Non partecipava mai con entusiasmo quando si parlava di uscite scolastiche, si tirava indietro nei giochi in palestra e sembrava sempre in allerta quando si parlava di dormire fuori casa, tipo le gite o le feste di compleanno. Avevo già avuto altri bambini con problemi di enuresi, la pipì a letto. E so che spesso non è solo una questione fisica, ma anche emotiva. Paura, stress, vergogna. A volte si nasconde bene. Ma se ci fai caso, qualcosa si intravede.
Quel giorno lui era rimasto in classe mentre gli altri erano in palestra. Mi disse che non si sentiva tanto bene. Niente di preoccupante, solo voglia di stare tranquillo. Era seduto al banco, disegnava in silenzio. Io riordinavo delle carte. Poi mi sono avvicinata e, senza troppi giri di parole, gli ho chiesto:
“Va tutto bene? C’è qualcosa che ti preoccupa?”
Lui ha fatto spallucce. Ma non mi ha guardata.
Così ho aggiunto, con calma:
“Succede, sai, che qualche bambino abbia delle difficoltà da affrontare. Tipo fare la pipì a letto. Non saresti l’unico. Non c’è niente di strano.”
A quel punto ha smesso di disegnare. Non ha detto una parola, ma ha fatto sì con la testa. Un cenno piccolissimo. Bastava quello. Mi stava dicendo tutto.
Un segreto accolto con rispetto
Quel piccolo cenno mi è bastato. Non servivano altre parole. Aveva capito che non lo stavo giudicando e io avevo capito che aveva bisogno di protezione.
Non l’ho riempito di domande, né ho cercato di “tirargli fuori” altro. A volte basta esserci. Il giorno dopo, ho fatto in modo che si sedesse in un banco più vicino alla porta, così se aveva bisogno di uscire poteva farlo senza sentirsi osservato.
Ho aspettato qualche giorno prima di parlarne con i genitori. L’ho fatto in modo molto tranquillo, durante un colloquio individuale. Nessun allarme, nessun tono preoccupato. Solo una semplice frase:
“Mi sembra che vostro figlio stia vivendo qualcosa che lo mette un po’ in difficoltà. Può essere legato anche alla sfera emotiva… per caso sapete se ci sono episodi di pipì a letto?”
La madre ha abbassato lo sguardo. Il padre è rimasto in silenzio. Poi lei ha annuito.
“Succede ancora, sì. Soprattutto quando è più stanco o agitato.”
Abbiamo parlato un po’. Mi hanno raccontato che ne avevano già parlato con la pediatra, ma con scarsi risultati. Che avevano provato a non farlo pesare, ma che a volte la stanchezza li prendeva alla sprovvista. Mi hanno chiesto se si notava. Ho risposto sinceramente: no. Non si notava, ma si sentiva. E io ero lì per aiutarlo, non per giudicarlo.
Normalizzare, senza forzare
In classe non è cambiato nulla, eppure per lui è cambiato tutto. Sapeva che qualcuno lo aveva capito. E quella sicurezza lo ha fatto stare meglio.
Abbiamo parlato insieme, qualche giorno dopo. In modo semplice, senza giri di parole. Gli ho detto che tanti bambini vivono la stessa cosa, che non c’è niente di cui vergognarsi. Che il corpo ha i suoi tempi, e che l’importante è prendersi cura di sé, non fare tutto “giusto” secondo gli altri.
Lui ha sorriso. Per la prima volta, ho visto un sorriso pieno, leggero. E ho capito che avevo fatto bene a fidarmi del mio istinto.
Perché è importante parlare di enuresi
L’enuresi, la pipì a letto, è una condizione più comune di quanto si creda. Eppure se ne parla pochissimo. Spesso i bambini vengono lasciati soli con questa fatica, oppure sgridati, o messi in imbarazzo. Ma non è colpa loro. Mai.
Quando insegni, lo capisci subito: il tuo compito non è solo spiegare matematica o storia. È creare uno spazio sicuro. Uno spazio in cui ogni bambino possa sentirsi accolto, ascoltato, non giudicato. Anche quando si tratta di cose delicate come l’enuresi.
A volte basta poco: uno sguardo in più, una domanda fatta con rispetto, un silenzio pieno di presenza. E quel poco può fare la differenza.